Il salario minimo: possibile per via giudiziaria

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Se il salario minimo vine fissato in via giudiziale, richiamdno dei principi costituizionali? Per determinare se la retribuzione di un lavoratore sia adeguata all’attività svolta, il magistrato deve innanzitutto fare riferimento agli importi stabiliti dal contratto collettivo nazionale di categoria. Tuttavia, il giudice ha anche la facoltà di discostarsi da tali parametri quando ritenga che la retribuzione non rispetti il principio sancito dall’articolo 36 della Costituzione, quello che regola la definizione della retribuzione. Questo vale anche quando il contratto collettivo di riferimento è previsto da una legge, e in questo caso, il giudice deve fornire un’interpretazione orientata alla Costituzione.

In una recente sentenza, la Cassazione ha sottolineato questi principi, come riportato da Italiaoggi. Nel caso specifico, un dipendente di una cooperativa attiva nel settore dei servizi fiduciari aveva presentato ricorso. La Corte d’appello aveva riformato la decisione del primo giudice, che aveva condannato la società a pagare circa 2.500 euro di differenze retributive, ritenendo inadeguato il trattamento previsto dal contratto collettivo sulla vigilanza privata.

Come punto di riferimento, il giudice può anche considerare i trattamenti retributivi stabiliti in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe. Inoltre, in base all’articolo 2099, secondo comma, del codice civile, il giudice può fare riferimento a indicatori economici o dati statistici, come suggerito dalla direttiva Ue 2022/2041 del 19 ottobre 2022.

Il lavoratore aveva sostenuto che, a causa di cambiamenti contrattuali sempre più sfavorevoli da un appalto all’altro, aveva visto ridursi la sua retribuzione, nonostante lo stesso tipo di lavoro. Aveva fornito prove delle buste paga e delle tabelle salariali, facendo riferimento al “valore soglia di povertà”.

In base all’articolo 36 della Costituzione, il giudice è tenuto a valutare se la retribuzione sia “proporzionata” all’attività svolta e “sufficiente”, garantendo così standard minimi di vita. Anche se il livello Istat di povertà non è un parametro diretto, può comunque contribuire a identificare una soglia minima irrinunciabile.

In questo contesto, il giudice deve considerare la direttiva Ue 2022/2041, che mira a promuovere la “convergenza sociale verso l’alto dei salari minimi”, garantendo condizioni di vita dignitose. Sebbene il giudice debba avvicinarsi alla contrattazione collettiva con prudenza, esiste un limite oltre il quale nessun contratto collettivo può scendere, evitando il dumping salariale e la competizione al ribasso. Non esiste una riserva normativa o contrattuale che precluda al giudice la facoltà di disapplicare i salari dettati dalla contrattazione collettiva e sostituirli con retribuzioni più adeguate. Pertanto, un rinvio in bianco alla contrattazione collettiva non può costituire una legge sul “salario legale” nel settore.

L’utilizzo della via giudiziaria viene a rendere inutile la via legislativa? Potenzialmente si, ma ci si dovrebbe chiedere sino a che punto un potere che dovrebbe spettare alla contrattazione collettiva possa essere invece demandato al potere giudiziario. Che senso ha mantenere in vita i sindacati, quando decidono tutto i giudici?


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