Nonostante l’intelligenza artificiale sia ancora in via di sviluppo, la sua forza trasformativa è evidente. A differenza di quanto avvenuto nelle precedenti ondate tecnologiche, l’intelligenza artificiale (IA) minaccia di sostituire non tanto la routine del lavoro fisico quanto quella del lavoro cognitivo.
La domanda – che aleggia spettrale non solo in Europa, ma in tutto il mondo – è che cosa faranno, a quel punto, le persone. Secondo Martin Reeves, presidente del BCG Henderson Institute, e Jack Fuller, fondatore di Casati Health, un’azienda che punta a reimmaginare la cura della salute mentale e fisica, non bisogna farsi prendere dal panico, anzi: diventeranno sempre più importanti tutte le abilità prettamente umane che ci contraddistinguono, capacità di immaginare su tutte.
Nel libro “La macchina dell’immaginazione”, tradotto in Italia da Egea, il presidente del BCG Henderson Institute e il noto esperto di neuroscienze spiegano che saranno proprio le aziende in grado di fare nascere – costantemente – nuove idee a creare un futuro che sia ancora a misura d’uomo.
“Lo scopo di questo libro – hanno spiegato Reeves e Fuller in una nota dell’editore – è realizzare una guida pratica attraverso cui mettere in piedi e far funzionare una ‘macchina dell’immaginazione’: un’azienda in grado di sfruttare sistematicamente l’immaginazione per stimolare la crescita. Sfruttare l’immaginazione comporta di saper gestire la mente, l’azione e la loro interazione. Non si tratta solo di creatività individuale, ma del modo in cui le menti possono interagire, creando un’immaginazione collettiva e un impulso a trasformare le idee in nuove realtà. I vertici e i manager tendono a concentrarsi sulla massimizzazione delle prestazioni, ma anche le imprese più performanti devono essere reimmaginate per poter mantenere la loro vitalità di fronte a sfide complesse e imprevedibili. Questo richiede una nuova disciplina che punti a sfruttare l’immaginazione e nuovi comportamenti di leadership utili a supportarla. Ci auguriamo che questo libro riesca a guidarvi nei primi passi concreti da muovere in tale direzione”.
Medicina, beni di consumo, trasporti, finanza, agricoltura, intrattenimento, comunicazioni: le imprese hanno cambiato radicalmente il mondo in tantissimi settori. E lo hanno fatto combinando le capacità organizzative con la facoltà di immaginare propria degli umani: l’abilità di vedere e creare cose che prima non esistevano.
L’immaginazione, insomma, è uno degli ingredienti meno compresi ma più cruciali per il successo di un’impresa. È ciò che fa la differenza tra un cambiamento incrementale e quei cambiamenti di paradigma così essenziali per la trasformazione, specialmente nei momenti di crisi.
Che sia per scovare opportunità inesplorate, ripensare i modelli di business e scoprire nuovi percorsi di crescita, oggi più che mai abbiamo bisogno di immaginazione, a maggior ragione se consideriamo il calo della crescita del mercato (dal 1970 la crescita del PIL mondiale è scesa dal 5,5 al 3,3% e nell’ultimo decennio le aspettative non hanno fatto che diminuire costantemente). Eppure troppe aziende – e le persone che vi lavorano – sembrano avere perso la capacità di immaginare.
Un rischio che non possiamo permetterci di correre troppo a lungo, considerando anche i rapidissimi progressi che le tecnologie di intelligenza artificiale stanno compiendo nell’eseguire compiti cognitivi di routine.
Non solo: i software stanno facendo passi da gigante nella produzione di output sempre più simili a esiti creativi umani, in alcuni casi con un valore monetario significativo. Se non è (ancora?) venuto il momento di temere che l’IA possa sostituire la nostra immaginazione, è invece ora di chiedersi come collaborare efficacemente con questa tecnologia, già oggi in grado di generare materiale utile per il nostro pensiero. E, soprattutto, di capire come valorizzare al meglio le capacità che ci rendono unici.
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