Intelligenza artificiale e lavoro, le donne rischiano di più

  ICT, Rassegna Stampa
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Hanno 50-59 anni, vivono nel nord ovest e guadagnano bene. Sud poco impattato

E’ la domanda che si pone chiunque abbia un lavoro: l’Intelligenza Artificiale lo mette a rischio? Sarò sostituito da un algoritmo? Le indagini che cercano di dare una risposto a questo dilemma sono centinaia, ma ben poche riguardano il caso specifico italiano. Adesso arriva, però, uno studio (“Occasional paper”) della Banca d’Italia che, dettagliatissimo, spiega non solo e non tanto quali sono le professioni a rischio (c’è anche quello, ma non è la parte più interessante), ma piuttosto quali sono le persone che potrebbero vedere il loro lavoro sostituito, appunto, da un algoritmo.

Qual è il lavoro a rischio con l’Intelligenza Artificiale

Basta guardare il grafico interattivo sopra per avere la risposta alla domanda. I dati sono in percentuale (arrotondati) e mostrano il genere delle persone il cui lavoro è più esposto all’arrivo dell’Intelligenza Artificiale, l’età e la residenza. Il risultato? Riassumendo i dati possiamo dire che le donne di 50-59 anni che risiedono nel nord-ovest dell’Italia sono le persone più esposte all’arrivo dell’uragano dell’Intelligenza Artificiale. Come mai? Perché svolgono lavori ripetitivi che possono essere svolti proprio dall’AI; non si tratta delle solite mansioni manuali a rischio automazione, ma di occupazioni ben pagate, spesso situate nei servizi e, per quanto riguarda il settore economico è quello finanziario, delle comunicazioni e dei servizi professionali che potrebbe subire il maggiore impatto. E sono i settori economici che vedono maggiormente la presenza di donne lavoratrici.

Dicevamo del reddito. In effetti l’impatto toccherà soprattutto le persone che si trovano nei quintili alti della distribuzione del reddito. L’AI, infatti, non si limita a “rubare” il lavoro. Può anche migliorare la produttività, rendendo più efficienti alcune mansioni ed è per questo che l’indagine distingue tra lavori a rischio di sostituzione e quelli che potrebbero beneficiare dell’AI come complemento. Se da un lato troviamo i ruoli più routinari e standardizzati, dall’altro ci sono lavori complessi, come quelli dei manager e dei dirigenti finanziari, che potrebbero trovare nell’AI un potente alleato per migliorare la loro efficienza.

Cambi lavoro? Guadagnerai di meno

La questione non è solo se l’AI ci ruberà il lavoro, ma anche come cambierà il mercato del lavoro nel senso che la mobilità dei lavoratori italiani tra diverse occupazioni è piuttosto limitata e questo significa che chi oggi svolge un lavoro che verrà pesantemente impattato dall’AI difficilmente riesce a trovare una via d’uscita verso settori meno esposti all’automazione senza pagare un prezzo, spesso in termini di salario.

Comprensibilmente, infatti, i lavoratori che lasciano occupazioni ad alto rischio di sostituzione tendono a spostarsi verso ruoli meno esposti, ma il cambio comporta una diminuzione del salario. Le disuguaglianze potrebbero quindi aumentare, con un divario crescente tra chi è in grado di adattarsi e chi resta indietro. E non è un problema solo per i meno qualificati: anche i lavoratori con una formazione elevata possono trovarsi in difficoltà se costretti a transizioni verso ruoli meno esposti, con guadagni ridotti.

Sorpresa: l’AI avvantaggia il Sud

C’è un’altra dimensione di questa disuguaglianza: quella geografica. I dati riportati da Bankitalia mostrano che le occupazioni maggiormente a rischio di essere sostituite sono più concentrate nel Nord-Ovest del Paese, mentre, sorpresa!, nel Sud prevalgono quelle che potrebbero beneficiare dell’AI, come i lavori nei servizi pubblici e sanitari. E poi ci sono i contratti di lavoro. I lavoratori in posizioni a rischio di sostituzione tendono ad avere contratti a tempo indeterminato, il che potrebbe mitigare, nel breve termine, gli effetti di spiazzamento. Un altro dato interessante è quello sugli spostamenti tra settori. I lavoratori in occupazioni altamente sostituibili tendono a cambiare più frequentemente settore rispetto agli altri, ma, come detto, non necessariamente questo porta a benefici economici. Al contrario, per molti di loro si tratta di un cambio imposto, più che di una scelta basata su opportunità migliori.

I dati si riferiscono al: 2024
Fonte: Banca d’Italia

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