Tutti a caccia di dati personali, anche FBI, NSA e altre agenzie di intelligence americane (con buona pace della privacy)
Da quando internet è entrato nella storia, a cascata, sono arrivati un numero esagerato di dispositivi elettronici da collegare alla rete. Che sia un computer, un telefono o un orologio, ogni utente si è trovato inizialmente “a sua insaputa”, poi con una crescente dose di incoscienza e superficialità, a scambiare i propri dati personali con entità spesso oscure che si posizionavano dall’altra parte cavo, svilendo il valore della privacy.
Di questa situazione si sono approfittati, legalmente o meno, tutti i principali attori economici del nostro tempo, ma non solo. Oltre alle aziende, tra i grandi affamati di dati personali ci sono anche le agenzie governative, che per conseguire l’interesse nazionale e proteggere i cittadini da pericoli esterni ed interni, sempre piuttosto vaghi, raccolgono continuamente informazioni su di noi.
Un bell’articolo pubblicato su The Conversation, scritto da Anne Toomey McKenna, Visiting Professor of Law, all’Università di Richmond, spiega molto bene quali sono negli Stati Uniti queste agenzie, come lavorano, dove prendono le informazioni personali dei cittadini e come le usano.
L’FBI, l’Agenzia per la sicurezza nazionale (la famigerata NSA del caso Snowden), il Dipartimento del Tesoro, l’Agenzia per l’Intelligence della Difesa, la Marina e la Guardia Costiera, sono solo alcune delle entità statali che rastrellano dati sensibili relativi alla popolazione.
E come fanno? Semplice, invece di procedere in nome della legge e quindi seguendo tutta una serie di protocolli prestabiliti (che costano tempo e fondi pubblici), tali agenzie li acquistano direttamente dagli intermediari commerciali, cioè quelle entità oscure di cui sopra, quelle che stanno dall’altra parte del tubo.
La notizia è stata pubblicata in un rapporto interno dell’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale, parzialmente declassificato e pubblicato il 9 giugno 2023.
La privacy è tutta la nostra vita e oggi è minacciata dell’internet dei comportamenti (e dell’IA)
Si tratta di tutta la nostra vita. La privacy andrebbe presentata così. Tutta la nostra vita è racchiusa in pacchetti di dati, prodotti dall’uso dei nostri dispositivi elettrici ed elettronici connessi in rete, da quello che scriviamo nei messaggi, da quello che diciamo al telefono (o da quello che il nostro telefono registra a livello ambientale), dai video che facciamo.
Non solo, i dispositivi di cui parliamo ascoltano il nostro corpo, il battito cardiaco, il ritmo respiratorio, la pressione sanguigna e molti altri valori afferenti al biologico, molti dei quali sono presenti nelle cartelle cliniche online o nel fascicolo sanitario elettronico (e di soluzioni simili in giro per il mondo).
Non è una lista esauriente di fonti, ma è sufficiente a comprendere la portata dell’attacco alla nostra privacy. Tutti questi dati sono frutto di quella che da tempo è chiamata “Internet dei comportamenti” (Internet of Behaviors).
Si tratta di un’integrazione aperta di più tecnologie, dall’intelligenza artificiale (IA) all’internet delle cose (IoT), passando per l’analisi dei dati e l’apprendimento automatico. Tutti i dati raccolti in questo modo sono associati a comportamenti umani specifici: una visione avanzata del rapporto che lega le persone alle connessioni stabilite dai propri e altrui device, attraverso cui esse si esprimono (linguaggio, pensieri, gesti e oggi anche dati sulla salute, emozioni e sentimenti).
Tutto reso più facile dall’intelligenza artificiale, dall’automobile in cui passiamo tanto tempo, dallo smartphone sempre con noi, dagli orologi e occhiali smart e dai fitness tracker sempre più diffusi ed utilizzati.
L’internet dei comportamenti varrà 3,5 trilioni di dollari entro il 2032
Una specie di trappola moderna in cui ogni individuo deve cedere dati, che includono anche la propria posizione, i tragitti che si fanno, le persone che si incontrano, l’orientamento sessuale, politico e religioso, l’origine etnica, peso e pressione sanguigna, lingua parlata, dialetto preferito, stato emotivo e fisico.
Tutto questo ha certamente un duplice valore: uno per la privacy, l’altro economico.
L’internet dei comportamenti è valutata oggi un mercato da 400 miliardi di dollari ed entro il 2030 potrebbe raggiungere i 2,1 trilioni di dollari di valore a livello mondiale (3,5 trilioni entro il 2032).
Ma se il valore commerciale è abbastanza chiaro, molto meno lo è quello inerente la nostra privacy.
La sorveglianza di massa è legale o no?
Le agenzie sopra menzionate sfruttano gli stessi dati per effettuare la celebre sorveglianza di massa. Un obiettivo per niente segreto e per niente frutto di teorie complottiste. Di fatto è prevista dalle stesse leggi federali, solo con forti limitazioni.
La Corte Suprema degli Stati Uniti tramite il quarto emendamento ha proibito perquisizioni e sequestri irragionevoli, se non dietro un mandato chiaro. Un quadro di regole che vale anche internet e l’acquisizione di dati personali tramite la rete e i suoi dispositivi di connessione.
Come detto, però, questo tipo di indagini sono costose, richiedono personale e tempo. I pacchetti di dati contenenti enormi quantità di informazioni già selezionate e confezionate, arricchite dal lavoro delle IA (che consentono combinazioni di dati infinite che rendono la nostra vita molto più interessante agli occhi delle agenzie di intelligence e forse anche ai nostri), sono invece a portata di mano, basta acquistarli in rete, come fa una qualunque azienda.
Il rapporto dell’Office of the Director of National Intelligence avverte di fatto che il volume crescente e l’ampia disponibilità di informazioni disponibili in commercio rappresentano “minacce significative per la privacy e le libertà civili“.
Nessuno oggi sa con esattezza quante e quali agenzie governative stanno raccogliendo dati in questo modo e diventa difficile stabilire quali possono essere le dirette conseguenze di queste attività al limite tra legale e illegale sulle nostre esistenze.
Ci siamo consegnati al nostro sorvegliante, ma c’è ancora una via di uscita
Il Rapporto spiega molto bene la situazione in cui ci siamo messi, praticamente da soli o quasi: “Al governo non sarebbe mai stato permesso di costringere miliardi di persone a portare con sé dispositivi di localizzazione in ogni momento, per registrare e tenere traccia della maggior parte delle loro interazioni sociali o tenere registri impeccabili di tutte le loro abitudini. Eppure, gli smartphone, le auto connesse, le tecnologie di tracciamento, l’Internet delle cose e altre innovazioni hanno ottenuto quello che il Governo non avrebbe neanche potuto immaginare con il consenso piò o meno esplicito di tutta o quasi la popolazione“.
Cosa fare adesso? La privacy è sostanzialmente tutto quello che rimane per tracciare un confine tra ciò che è personale e privato e ciò che è pubblico. Siamo noi che dobbiamo deciderlo, ma in piena coscienza, informati per bene delle conseguenze di ogni nostra decisione a riguardo, cosa che non accade quasi mai.
Secondo l’autrice, di fatto, negli Stati Uniti almeno il Congresso potrebbe ancora affrontare il problema e trovare soluzioni efficaci per proteggere i cittadini da questo saccheggio delle informazioni personali, basterebbe presentare e approvare leggi sulla privacy che funzionino e che obblighino i giganti di internet a rispettarle.
Basterebbe ad esempio provvedere a regolamentare i mezzi tecnologici a nostra disposizione, in nome di leggi giuste ed equilibrate che proteggano davvero il cittadino e le sue libertà personali (rispettando ad esempio anche il diritto di non esser disturbati dall’utilizzo errato di un dispositivo da parte di altri cittadini).
Basterebbe regolamentare seriamente l’applicazione dell’intelligenza artificiale in ogni settore, tenendo bene a mente che la nostra vita privata è il bene di valore più grande che abbiamo.
https://www.key4biz.it/internet-dei-comportamenti-e-ia-generativa-come-fbi-e-nsa-agirano-la-privacy-acquistando-dati-in-rete-ma-e-legale/452529/