Joe Biden lascia e accende “The Great Game Changer”. Si rilancia la corsa per la Casa Bianca

  ICT, Rassegna Stampa
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Biden lascia e ora obiettivo numero uno è unire il partito e gli americani che il Presidente “rinforzerà” nelle prossime ore. Un atto coraggioso che fa recuperare chance ai Democratici (e al mondo) come titola il New York Times con un “effetto volano”. The Great Game Changer del Partito Democratico può ripartire con una maggiore parità ed equilibrio, anzi rovesciando le critiche precedenti verso Trump (età, competenze, traiettorie internazionali).

Biden lascia con un atto di coraggio mettendo davanti America First (ma guardando ad un mondo meno frammentato  e diviso) identificando in Kamala Harris la sua naturale candidata alla successione, definendo dunque l’obiettivo strategico di unire il partito e il popolo americano attorno ad una nuova convivenza planetaria (economica, sociale e ambientale). Traiettoria a cui il Partito Democratico dovrà dare ordine e unità fino alla Convention di Chicago il 19 agosto con una guida forte e condivisa ridando il potere ai Democratic Delegates che sono liberi di definire i loro candidati come da Statuto del partito riaprendo la partita della nomination  che tuttavia è probabile sia donna e giovane. Trump deve spostare completamente la sua campagna in attesa di capire in quale direzione e nel frattempo i repubblicani attaccano a testa bassa dicendo che “sarà ancora più facile vincere contro Harris” con il rischio di scivoloni.

Accusando Biden di non essere dunque in grado di svolgere la sua funzione e provando a delegittimare la stessa Harris per aver coperto lo stato di salute di Biden. Argomenti ” fragili” dato che Biden non potrà svolgere la sua funzione per i prossimi 4 anni ma di potere tranquillamente completare il suo mandato. Di fatto Trump teme la candidatura di una donna essendo la sua una storia e una policy particolarmente misogina e che può rimettere in marcia per esempio il tema dell’aborto soprattutto tra le elettrici che ne identificano l’autonomia e la forza di genere. I tre punti chiave che dovrà affrontare Harris: immigrazione, economia e politica estera.

Con l’immigrazione da rimettere in ordine facendo chiarezza, in economia evitando di dire che sono “stati bravi” e guardando al futuro tenendo sotto controllo l’inflazione, in politica estera su Gaza e Israele per riportare a casa i voti persi per strada sul grande tema geo-strategico dove Biden è rimasto più incerto. Di fatto lo spostamento dell’attenzione dei media va da Trump-Vance a Biden-Harris silenziando anche il confronto tra capacità dei due ottuagenari facendo apparire ora il tycoon più inadeguato perché vecchio, iroso, conflittuale, imprevedibile e scorretto.

Il linguaggio di Trump dovrà essere più attento con una donna e afro-americana per non inimicarsi troppo le minoranze che in parte lo votano. Anche i fondi per i Democratici ripartono con una spinta ad un rilancio del fronte democratico, come in Francia, che si vede rinvigorito. Dunque la stessa “debolezza apparente” di Kamala Harris si trasformerà iniettando energia in lei stessa oltre che nella locomotiva della campagna disinnescando due temi basici legati ad una candidata donna e di colore e che fu indicata a suo tempo proprio da Barack Obama. La sfida sarà infatti entusiasmare e coinvolgere gli americani da cui dipenderà l’esito finale della partita che crescerà di più con una candidata donna e di colore, da accoppiare probabilmente con un maschio bianco  e giovane.

Certo partita aperta a Chicago ma una “candidata donna e di colore” dovremmo darlo quasi per scontato per gli impatti inter-generazionali  e inter-etnici come messaggio simbolo del Partito Democratico su cui costruire la piattaforma di tutta la campagna anche se fosse un’altra donna tra le diverse candidate già citate nelle settimane scorse come per esempio la Whitmer (Governatrice del Michigan).

Anche se sia Whitmer che Newsom (Governatore della California) hanno già dichiarato che non saranno in corsa “contro” Harris e dunque indicando l’unità del partito come bene comune che è altro bel segno di campagna. Harris peraltro potrà diventare protagonista crescendo di statura in questa cronoscalata lampo dato il pochissimo tempo disponibile e perché mai successo prima e dunque senza punti di riferimento.

Harris “potrà giocarsela ma anche dovrà guadagnarsela questa nomination nella convention di Chicago, come lei stessa ha riconosciuto con trasparenza e correttezza istituzionale lasciando al Partito Democratico di dare una forte impressione di apertura e contendibilità che dipenderà anche dalle scelte del candidato Vice President che sarà fatta a Chicago. Un fronte compatto dei democratici potrà ridurre le perdite e allineare le opportunità e possibilità. Wall Street (finanza) peserà così come il climate change (ambiente) sugli esiti finali e già vedremo domani le reazioni in corsa dove il denaro si orienta e per chi vota e con quale bandiera climatica inforcherà gli ultimi 100 giorni.

Per Trump sarà più difficile vincere mentre sembrava quasi data per scontata contro Biden con una mossa che dunque ha sparigliato le carte nei piani dei repubblicani risvegliando l’anima democratica che già era declinante e rassegnata. Passa anche in secondo piano lo shock dell’attacco a Trump a Butler. Sul dossier immigrazione la Harris dovrà difendersi dagli attacchi sia di destra e sia di sinistra per le sue parole di mesi fa sui migranti da “incentivare a rimanere nei loro paesi da supportare con politiche e risorse mirate” quasi in allineamento con il trumpismo aggressivo dei muri con il Messico. Certo i Democratici sperano di mantenere nelle legislative la maggioranza in almeno uno dei rami del Congresso nel caso non riuscissero a fermare Trump.

Esito che era quasi certo con Biden candidato, ma ora altamente incerto con Biden uscito dalla corsa e che rilancia con coraggio i democratici se sapranno dare ordine, regole e unità a questi 100 giorni mancanti e governando nella trasparenza la Convention di Chicago del 19 agosto. Un rilancio che rovescia i temi di ieri del contendere tra i due vecchi candidati sulle spalle di Trump che ora deve difendersi, mentre i Democratici possono attaccare intanto con una candidata-donna e se poi nera ancora più “potente” visto l’endorsement a Harris anche dei Clinton. Oggi l’America è anche pronta per un Presidente donna rispetto al 2016 (Hillary Clinton) soprattutto contro un candidato come Trump (come noto misogino e sessista) che sarebbe – con Harris –  peraltro più di continuità europeista (su commercio e Ucraina).

Sul lato interno alle questioni italiche – traguardando agli equilibri europei – una vittoria democratica (e con Harris) accentuerebbe peraltro “fratture” nel Governo  Meloni che ha votato  (con Salvini e Le Pen) contro Ursula von der Leyen (se escludiamo i popolari di Forza Italia invece favorevoli) innestando una “discontinuità” sulle politiche europee inconsueta ma persistendo una linea di dialogo con l’atlantismo di Biden che invece si indebolirebbe con una vittoria di Trump.

Un voto di Meloni contro il rinnovo della maggioranza Ursula  che forse traguardava agli esiti americani a favore di Trump ma disallineandosi con il suo atlantismo bricoleur? Vedremo, la battaglia finale è appena cominciata e i democratici sono in corsa con una democrazia americana che dimostra di esserci e di resistere a populismi e sovranismi isolazionisti senza alcun disegno sul nuovo ordine mondiale multilaterale e di una società aperta.

Perché piaccia o non piaccia il mondo è più interdipendente e integrato e come tale va “accolto, regolato e guidato” senza chiusure e nuovi muri nella convivenza, nell’ascolto e nel civismo di regole condivise. La politica del Grande Disegno Umano da qui deve ripartire !

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