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Il Senato approva il decreto sul superbonus ma la tensione rimane
Dopo numerosi momenti di tensione il decreto superbonus è stato approvato dal Senato. Il provvedimento per il quale il Governo ha ottenuto la fiducia, anche con i voti di Forza Italia, è passato a Palazzo Madama con 101 voti favorevoli, 64 contrari e nessun astenuto; ora verrà esaminato dalla Camera con un iter blindato, perché entro il 28 dovrà essere approvato definitivamente. Certo, se la spaccatura della maggioranza, con l’astensione degli azzurri in commissione Finanze, a colpo d’occhio può sembrare rientrata con questo esito, il nervosismo è ancora evidente: “Se la Lega avesse fatto solo la metà di quello che ha fatto Forza Italia, avrebbero dato tutti addosso a Salvini dandogli dell’irresponsabile”, è la battuta, captata dai cronisti, del capogruppo della Lega in Senato Massimiliano Romeo. Meno ironico l’intervento del presidente della Commissione Finanze Massimo Garavaglia: “Non è stato facile. Il gruppo di FI non solo si è astenuto sull’emendamento governativo ma ha anche votato con l’opposizione. Nonostante l’atteggiamento di FI l’emendamento è stato approvato e i lavori si sono chiusi in maniera ordinata “, ha esordito il leghista in dichiarazione di voto. “Potevamo fare un altro giro di valzer sul Titanic per prendere qualche voto in più? Secondo noi no. Ha fatto bene il ministro Giorgetti” è il commento di Garavaglia.
Insomma, la Lega ha mostrato le crepe. E a cancellare i dissapori non basta una foto, postata dal renziano Luigi Marattin, che ritrae insieme allo stadio Antonio Tajani e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Sul Superbonus continuiamo ad avere molte perplessità e siamo contro qualsiasi ipotesi di legge retroattiva”, ha affermato Tajani, precisando comunque che per un emendamento “non viene assolutamente meno la fiducia nel Governo”. Linea sobria, quest’ultima, sposata dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani che ha rimarcato il buon risultato: “Sono numeri che non lasciano dubbi né interpretazioni. Né la maggioranza né il Governo sono mai stati in discussione”. Netta e compatta la bocciatura dalle opposizioni; se Italia Viva aveva dato una mano all’esecutivo votando a favore, ieri ha negato la fiducia: “Non siamo la stampella del Governo, siamo la stampella degli imprenditori italiani”, le parole di Matteo Renzi. Attacco netto anche dal capogruppo Pd Francesco Boccia: “Abbiamo assistito alla guerra tra Lega e Fi”. Forza Italia “ingoia gli errori del ministro Giorgetti che colpisce le imprese”. “Siamo al redde rationem”, ha esordito il leader di Azione Carlo Calenda definendo il provvedimento come “il più folle”, il “più iniquo” e il “più di destra mai fatto nella storia repubblicana”.
Salta il confronto tra Meloni e Schlein
Salta il confronto tv tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Il duello si sarebbe dovuto tenere nel salotto di Porta a portail prossimo 23 maggio ma dopo la delibera Agcom che considerava legittimo il format del faccia a faccia a due solo se “accettato da una larga maggioranza delle liste in competizione elettorale e comunque dalla maggioranza delle liste con rappresentanza in Parlamento”, viale Mazzini prende atto dell’impossibilità di andare avanti. “Soltanto quattro delle otto liste rappresentate in Parlamento hanno accettato l’invito di Rai a un confronto a due tra leader sulla base della forza rappresentativa. Per questo motivo, in assenza della maggioranza richiesta dall’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, Rai ritiene di non poter programmare alcun confronto nei termini precedentemente proposti”, comunica una nota in mattinata. A favore del format, oltre ai diretti interessati FdI e Pd, si erano espressi il vicepremier e segretario della Lega Matteo Salvini e anche il leader di Iv Matteo Renzi. Contrari invece l’altro vicepremier e segretario di FI Antonio Tajani (che si è detto disponibile a un confronto ‘all’americana’, tra tutti i leader), il segretario di Azione Carlo Calenda, il leader M5S Giuseppe Conte e Avs.
Bruno Vespa non apprezza: “Nelle ultime due tornate elettorali (2022/2024) non ci è stato possibile trasmettere confronti tra il presidente del Consiglio (ieri Letta, oggi Meloni) e il leader più rappresentativo dell’opposizione (ieri Meloni, oggi Schlein). Ci è stato proibito il confronto tra due donne che per la prima volta nella storia italiana sono al vertice nei rispettivi ruoli. È una vittoria della democrazia? Non ne sono convinto”, tuona, sottolineando come i quattro partiti favorevoli al confronto (FdI, Pd, Lega e Stati Uniti d’Europa) rappresentano il 63,32 % delle forze parlamentari. “L’ esasperazione della par condicio non giova a nessuno. Non a caso i tecnici ne invocano da tempo la revisione. Si avrà il coraggio di farlo?”. Anche dal Pd protestano e se Schlein tiene aperta la porta per un dibattito a due con Meloni “dovunque e in qualunque momento”, i dem non si sbilanciano su un possibile confronto tra tutti i leader, lasciando intendere che “non è con Bandecchi che la segretaria deve confrontarsi”. Difficile, invece, che la Meloni partecipi a un confronto all’americana. “Agcom ha fatto sue le argomentazioni di chi ha voluto impedire questo confronto. FdI ne prende atto e conferma la disponibilità al confronto attraverso i propri rappresentanti politici, senza far perdere ulteriore tempo al Presidente del Consiglio”, tagliano corto i componenti di FdI in commissione Vigilanza Rai. Esultano, invece, gli esclusi.
Gentiloni: tornare indietro sul Green Deal sarebbe errore storico
In un intervento al “Brussels Economic Forum” di Bruxelles, il Commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni ha sottolineato che, a venti giorni dalle elezioni europee, bisogna chiarire la necessità di continuare sulla strada del Green Deal, senza fare una marcia indietro che sarebbe “un errore storico”. Il Commissario ha anche insistito sull’urgenza, per finanziare almeno una parte della transizione green e digitale, di stabilire “strumenti comuni per obiettivi comuni” europei, come è stato fatto per la risposta alla pandemia con il “NextGenerationEU” che termina a fine 2026, per mobilitare investimenti pubblici a livello Ue e non solo a livello degli Stati membri. “Siamo alla fine della legislatura europea e dell’attuale Commissione. E penso che sia il momento giusto per ricordare il fatto che quando è nata l’attuale Commissione, il Green Deal europeo era il suo carattere distintivo. Poi ovviamente in questi cinque anni sono successe tante cose, la pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina; ma a distanza di cinque anni credo sia giusto chiederci se ci stiamo pentendo della decisione presa quattro-cinque anni fa, di avere il Green Deal come profilo principale dell’attuale Commissione. E la mia risposta è decisamente no: non ci pentiamo, o almeno non dovremmo pentirci”.
Le motivazioni di questo “no” sono sostanzialmente due: “In primo luogo, a causa dell’urgenza della crisi climatica. La settimana scorsa sono usciti i dati Copernicus su ciò che è accaduto nell’aprile di quest’anno, che è stato di 1,58°C più caldo” rispetto alla media di aprile per il periodo preindustriale 1850-1900. “Quindi, per quanto riguarda l’aumento della temperatura a livello globale, siamo già oltre il limite di 1,5 gradi”, la soglia da non superare secondo l’Accordo di Parigi sul clima. “Ma non è solo l’urgenza; c’è anche il fatto che noi siamo in grado di realizzare la transizione verde. Vorrei solo ricordare un paio di dati. Innanzitutto, come stanno andando le emissioni: nell’Ue la riduzione del 2023 rispetto al 2022 è stata del 15,5%, che è ovviamente un numero significativo. Un secondo numero significativo, nel 2023 è stato quello della capacità di energia solare installata nell’Ue: 56 GW di energia solare, qualcosa di simile a 56 impianti nucleari di medie dimensioni in un anno”. Insomma, “le cose si stanno muovendo. Ma ovviamente noi, l’Ue, rappresentiamo solo il 7% delle emissioni globali”.
“Cosa succede nel restante 93%? Ciò che accade per il restante 93% ci porta alla geopolitica, al modo in cui raggiungiamo gli accordi a livello internazionale e anche a come adottare misure per evitare che gli europei, che sono più avanzati” riguardo alle politiche contro il cambiamento climatico “debbano subire gravi conseguenze economiche per questo. E qui è, ad esempio, la logica di misure come il Meccanismo di dazi sul carbonio alle frontiere (Cbam, ndr), una specie di carbon tax all’europea”. Poi c’è un altro problema, ha continuato Gentiloni, quello dei “costi di questa transizione: noi calcoliamo sempre il fabbisogno di investimenti, e il nostro calcolo più recente è che serviranno 620 miliardi di investimenti aggiuntivi all’anno per la transizione verde e digitale nell’Ue da ora al 2030”. Comunque, conclude il Commissario “nel complesso dobbiamo essere pragmatici, dobbiamo guardare all’equità sociale e regionale della transizione, ma non possiamo commettere l’errore storico di fare marcia indietro sulla transizione”.
Scoppia il caso Borghi sul no alle bandiere Ue nei palazzi pubblici
Via la bandiera Ue dai Palazzi. È l’ultima proposta provocatoria del senatore leghista Claudio Borghi sulla quale scoppia un caso con le opposizioni all’attacco e gli alleati freddi a partire da FI. Il disegno di legge, che Borghi fa sapere di aver consegnato agli uffici del Senato, punta a cancellare l’obbligo introdotto nel nostro Paese con una legge del 1998 di esporre sugli edifici pubblici insieme al tricolore anche la bandiera dell’Europa. Per il senatore “La Bandiera Italiana è una sola: il tricolore affiancato quando possibile dalla bandiera della Regione”. Borghi, tra l’altro, per tutto il giorno difende la sua linea replicando via social alle critiche e postando le immagini dei parlamenti di altri Stati europei dove la bandiera non è esposta. “L’obbligo l’abbiamo solo noi. La mia proposta è quindi europeista perché punta ad adeguarci agli standard degli altri Paesi”. Si tratta di un testo a sua firma e che nella Lega viene commentato come iniziativa personale. Ma, d’altra parte, è un fatto che la critica a Bruxelles sia stata da subito una delle cifre della campagna del Carroccio in vista delle europee con tanto di slogan “Più Italia, meno Europa”.
E tra gli alleati, mentre FdI tace arrivano le stoccate degli azzurri, che rivendicano da sempre il loro profilo europeista. “E’ il caldo…evidentemente al Senato non hanno ancora acceso i condizionatori…”, ironizza il capogruppo di Forza Italia alla Camera Paolo Barelli. Ma è dall’opposizione che arrivano le critiche più dure. “Mi sembra un passo avanti. Salvini non si riconosceva neanche nel tricolore. Mi aspetto presto una proposta per le bandiere delle contrade, dei sestieri e dei rioni. Da Ventotene al cortile di casa. Viva l’Europa”, dice la capogruppo Dem alla Camera Chiara Braga. “Non l’inflazione o la crescita inesistente e l’industria che continua a crollare ma la bandiera dell’Europa fuori dai palazzi, queste sono le priorità della Lega.”, attacca il presidente dei senatori M5S Stefano Patuanelli.
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