Questa volta, nessuno può accusare i diarchi di Viale Mazzini, ovvero la Presidente Marinella Soldi e l’Amministratore Delegato Carlo Fuortes di essere stati sfuggenti, o, peggio, evanescenti: nelle loro audizioni di ieri di fronte alla Commissione Lavori Pubblici della Camera dei Deputati sono arrivati carichi, oggettivamente, di proposte e di suggestioni, rispetto ai futuri possibili del servizio pubblico radiotelevisivo.
Le audizioni sono state convocate nell’ambito dei lavori sulla mitica riforma della Rai (discussione, in sede redigente, del ddl n. 1415 e connessi, da parte della Commissione VIII presieduta dal grillino Mauro Coltorti), e si ricordi che peraltro anche la Commissione Bicamerale di Vigilanza (presieduta da Alberto Barachini di Forza Italia) ha avviato una “indagine conoscitiva sui modelli di governance e sul ruolo del Servizio pubblico radiotelevisivo, anche con riferimento al quadro europeo e agli scenari del mercato audiovisivo” (iniziativa che non ha brillato per intensità e pluralità degli interventi, dato il numero ristretto dei finora auditi).
Paradossalmente dovrebbe essere il Parlamento (che di Rai è sostanzialmente l’editore, sebbene formalmente i soci della Rai Radiotelevisione Italiana spa siano il Ministero dell’Economia e delle Finanze per il 99,56 % delle quote e la Società Italiana Autori Editori – Siae per lo 0,44) a dare indicazioni identitarie e strategiche precise al “public media service” nazionale, ma questa volta sono stati Fuortes e Soldi a manifestare concretamente una serie di prospettive per ridefinire l’identikit del servizio pubblico.
Va anche segnalato che, per la prima volta nella storia della comunicazione di Viale Mazzini, le relazioni che Presidente ed Ad hanno presentato in Commissione sono state pubblicate integralmente (e tempestivamente) sulla sezione “Corporate” dell’Ufficio Stampa del sito web della Rai: è un segnale, piccolo ma apprezzabile, di trasparenza e di chiarezza. È pur vero che questi documenti possono poi essere acquisiti, non appena i servizi di Camera e Senato pubblicano i resoconti stenografici, ma ciò non avviene mai in tempo reale, e c’è sempre un (incredibile, in tempi di cultura digitale) ritardo di qualche giorno. Questa piccola ma significativa decisione comunicazionale evidenzia la volontà di Fuortes e Soldi di far giungere in modo netto e chiaro la loro “vision” di Rai, a distanza ormai di oltre sei mesi dalla nomina (luglio del 2021).
Alcuni analisti osservano che questa decisione (una comunicazione forte) si pone forse anche come reazione alla crisi che Presidente ed Ad hanno dovuto affrontare, in occasione della ultima riunione del Consiglio di Amministrazione, che giovedì scorso ha sì approvato il budget 2022 (si chiude in pareggio, ma con una posizione finanziaria netta preoccupante, a quota – 625 milioni di euro), ma non esattamente all’unanimità: 4 voti a favore (Presidente ed Ad e 2 consiglieri espressi da Lega e Forza Italia), e 3 contrari (consiglieri espressi da Pd e M5s e rappresentante dei dipendenti), il che – nell’economia anche simbolica – rappresenta plasticamente la evidente debolezza di chi attualmente governa Viale Mazzini.
Anche se è certamente esagerato teorizzare un rischio di futura imminente “sfiducia” interna di Presidente ed Ad da parte dell’attuale consiglio (sebbene “il Fatto Quotidiano” ha titolato ieri “parte l’avviso di sfratto di Pd e M5s”, in un articolo a firma di Gianluca Roselli). Per quanto si abbia notizia di una imposizione di “consegna del silenzio” (Fuortes e Soldi hanno chiesto ai membri del Cda di evitare interviste ed esternazioni di sorta in relazione a quel che avviene durante le riunioni consiliari), il consigliere di amministrazione Riccardo Laganà ha spiegato in modo netto sulla sua pagina Fb le ragioni del proprio voto contrario, determinato anzitutto dalla decisione di eliminare la controversa edizione serale dei telegiornali regionali (va anche osservato che Laganà gode di una sorta di informale status particolare, essendo eletto non dal Parlamento bensì dai dipendenti della Rai): “avendo votato contro il taglio di tgr e tg sport, come potevo dire sì al budget che proprio su quei tagli è basato?”. La consigliera Francesca Bria (in quota Pd) ha sostenuto: “da parte mia non si tratta affatto di una bocciatura dell’ad, ma una critica al taglio dell’informazione senza aver presentato un piano più generale di rilancio. E anche un invito a porre più attenzione alle relazioni coi sindacati”. Secondo alcune fonti, lo stupore (ed il fastidio) di Presidente ed Ad è stato notevole, verificata la maggioranza 4 a 3, e la votazione è stata ripetuta una seconda volta, confermando i risultati della prima.
È strano (veramente strano) che testate come il “Corriere della Sera” e “la Repubblica” non abbiano oggi riportato nulla dell’audizione di ieri di Soldi e Fuortes, come ha notato il sempre attento Redattore Anonimo del più appassionato blog dedicato alla Rai ovvero “BloggoRai”: lo stesso analista ha notato, in materia di comunicazione, una contraddizione, rimarcando come Fuortes si sia lamentato della narrazione della Rai da parte dei media e Soldi abbia invece sostenuto che gli italiani sarebbero tra i più convinti sostenitori del servizio pubblico a livello europeo… Si ricordi che attualmente lavorano alla “comunicazione” di Viale Mazzini ben 4 dirigenti apicali, Pierluigi Colantoni (dal settembre 2021 neo Direttore della Comunicazione) e Stefano Marroni (Capo Ufficio Stampa), cui sono stati più recentemente affiancati Maurizio Caprara (dal novembre 2021 Assistente dell’Ad per la Comunicazione) e Marcello Giannotti (già a capo della comunicazione Rai, richiamato come consulente da Colantoni)..
Come sintetizzare le relazioni di Soldi e Fuortes?!
La prima si è concentrata sullo status giuridico e sulla governance, il secondo sull’economia della Rai e sulle forme di finanziamento del servizio pubblico. Entrambe corpose dal punto di vista documentativo.
Passaggio essenziale dell’intervento della Presidente Marinella Soldi: “per rendere Rai davvero in grado di essere al passo con i tempi e confrontarsi con competitor agili e veloci, va anche risolto il nodo della sua personalità giuridica mista – come ho avuto modo di illustrare in Commissione di Vigilanza Rai il 23 novembre scorso”.
In effetti, la Rai è un ibrido, ovvero un ircocervo, avendo un assetto atipico, un po’ all’Arlecchino “servo di due padroni” (lo Stato ed il mercato): “società di diritto privato, la Rai riveste al contempo natura di organismo di diritto pubblico ai fini dell’applicazione del codice dei contratti pubblici. Un unicum giuridico che: ostacola il processo di cambiamento, perché deve tener conto di un codice d’appalti riferito ad un contesto stabile, senza mutamenti, tutto il contrario del contesto in cui oggi operano i player multimediali; e allo stesso tempo, allo stato, impedisce – per citare un tema attualissimo – l’accesso diretto ai fondi del Pnrr, aperto invece ai soggetti pubblici”.
In relazione alla seconda questione, riteniamo che lo status giuridico della Rai non le impedirebbe l’accesso ai fondi del “recovery plan”, se vi fosse (stata) una precisa volontà politica, ovvero se il Governo avesse deciso di dedicare al rilancio del servizio pubblico mediale una parte delle risorse: basti osservare i 300 milioni di euro che – nell’ambito del Pnrr – il Governo guidato da Mario Draghi ha ritenuto di assegnare a Cinecittà Luce, che pure è una società di diritto privato, in quanto società per azioni, seppur controllata al 100 % dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), che ha assegnato al Ministero della Cultura l’esercizio dei diritti dell’azionista (sempre d’intesa con il Mef). Il Mef controlla il 100 % di Cinecittà ed il 99,56 % di Rai spa. Da segnalare in proposito – en passant (ma ci torneremo presto) – che qualche giorno fa è stato finalmente reso di pubblico dominio il tanto atteso “Piano Industriale 2022-2026” di Cinecittà Luce spa, che consente di cominciare a comprendere come verranno destinati i 300 milioni del “Recovery Plan”…
Sostiene Soldi: “è essenziale che la futura riforma metta la Rai in condizioni di agire con vera logica di impresa. Consentendo a chi è chiamata a governarla libertà di scelta – e conseguenti responsabilità”. In sostanza, la Presidente chiede che la Rai venga “affrancata” dai vincoli del Testo Unico sugli Appalti, che ha procedure complesse e spesso conseguentemente lente: Soldi ha in parte ragione, ma non del tutto, anche perché notoriamente una parte significativa (la parte forse più significativa?!) degli appalti di Viale Mazzini, quelli afferenti alla produzione, è già libera dai vincoli del Codice degli Appalti. E proprio questa grande libertà (discrezionalità) di gestione è stata più volte in passato oggetto di critiche di varia natura: si ricorderanno le polemiche su un presunto “oligopolio” delle “big 5”, ovvero le cinque maggiori beneficiarie degli appalti per la produzione di “fiction” ed anche di “entertainment”…
In ogni caso, è indubbio che il “cavallo” metaforico della Rai (quello azzoppato, ahinoi, di Viale Mazzini, e quello, alato, di Saxa Rubra) ha le briglie strette, a causa di questi vincoli burocratici, che di fatto rallentano qualsiasi procedura con un budget superiore ai 40mila euro (anche se le norme “post-Covid 19” hanno allentato in parte questi vincoli). Ci si domanda però se una maggiore connotazione “privata” / “privatistica” sia proprio la soluzione migliore: diamo per scontato che un soggetto pubblico non possa operare in modo efficiente ed efficace, nel rispetto del Codice degli Appalti?!
La Presidente Marinella Soldi ha anche richiesto che il mandato del Consiglio di Amministrazione sia esteso dagli attuali 3 anni a 5 anni, coincidendo con la durata del “Contratto di Servizio” (quello attuale va dal 2018 al 2022), ed ha auspicato che il “governo” della Rai sia esteso a rappresentanti della società, come il mondo accademico, scientifico, culturale, del Terzo Settore.
Un servizio pubblico che ha bisogno di… “più società”. Rai, servizio pubblico sottofinanziato
Con grande onestà autocritica, Soldi ha segnalato come la Rai non brilli come immagine di “indipendenza”, nel vissuto degli italiani: “come mostra l’ultimo rapporto sulla Corporate Reputation Rai, riferito al 2020 – tra tutti gli indicatori considerati danno il voto più basso all’indipendenza, con un voto di 6 su 10 (ed era ancor più basso, 5,5 nel 2019)”. E ancora: “non credo che il Servizio Pubblico abbia bisogno di ‘meno politica’, come spesso si sente dire. Ma, sull’esempio di tanti altri Servizi Pubblici europei, abbia bisogno di ‘più società’. In questo senso, dunque, di ‘più politica’, ma in un’ottica più ampia e diversa, inclusiva e plurale. Un Servizio Pubblico che sia appunto Rilevante, Credibile, Sostenibile ed Inclusivo”.
L’Amministratore Delegato Carlo Fuortes ha ricordato, una volta ancora, come il canone Rai (90 euro l’anno) sia basso, troppo basso (si pensi ai 220 euro della Germania, ai 185 del Regno Unito, e finanche ai 138 euro della Francia), incongruo, e come Rai percepisca peraltro soltanto un 86 % del flusso (il resto non va a Rai ed è un vero paradosso), e, al contempo, ha segnalato – in risposta ad una domanda – che “la pubblicità non sarà mai un driver del prodotto Rai”. Tesi indiscutibile: “rispetto ad altri broadcaster il servizio pubblico italiano è complessivamente sottofinanziato in riferimento ai costi associati agli obblighi imposti”.
Conseguenze?!
Le risorse attuali di Viale Mazzini non le consentono di svolgere pienamente la sua “missione” di servizio pubblico: in effetti, basterebbe effettuare una lettura critica di quanto Rai sia inadempiente, per molte parti, rispetto agli obblighi che pure le sarebbero imposti – sulla carta – dall’attuale “Contratto di servizio” (2018-2022), che peraltro è in vigore anche per tutto il corrente anno…
In argomento, Rai ha attivato un tavolo di lavoro che sta ragionando sulla prossima edizione del “Contratto di servizio” (il contraente è il Ministero per lo Sviluppo Economico – Mise), ma ci si domanda se quello vigente debba essere considerato veramente scritto sulla sabbia, anzi sull’acqua (critica che abbiamo manifestato più volte, nel corso degli anni, anche su queste colonne).
A che serve, un “contratto” così nebuloso?! Ricordiamo – tra le tante inadempienze – l’ormai misterioso (fantasmico) “canale per l’estero”…
Risorse adeguate e stabili per un servizio pubblico robusto e ben definito
In sostanza, la Rai potrebbe anche rinunciare alla pubblicità, a condizione che quel “minus” ricavi venga compensato dalla mano pubblica: si potrebbe addirittura mantenere il canone al livello attuale, basterebbe che lo Stato decidesse di sostenere direttamente le attività di servizio pubblico con una precisa convenzione di impegno anche economico (con chiara identificazione del sinallagma, delle prestazioni e delle controprestazioni) adeguata alle funzioni richieste, di durata ventennale e senza chance di ribaltamenti determinati dall’avvicendamento di diverse maggioranze in ambito parlamentare, garantendo così la certezza di risorse nel medio periodo…
Questa è una delle possibili soluzioni.
Le tesi di Fuortes (serve più danaro per garantire più servizio pubblico) sono state immediatamente oggetto di una reazione di parlamentari della Lega Salvini, subito rilanciata dalle testate del centro-destra (da “Libero” in primis, con richiamo in prima pagina): hanno subito tuonato Simona Pergreffi, Giorgio Maria Bergesio, Umberto Fusco, Massimiliano Capitanio, Elena Maccanti, Dimitri Coin, Leonardo Tarantino – componenti della Commissione di Vigilanza – “la Lega lo dice con chiarezza e senza fraintendimenti: no a qualunque ipotesi di aumento del canone Rai… Le parole dell’Ad sono inaccettabili, perché nessuna riqualificazione delle risorse dell’azienda può essere scaricata sulla pelle dei contribuenti italiani”. Si ricordi che secondo una interpretazione di normative europee, l’Italia potrebbe essere costretta a non esigere più il canone dalla bolletta dell’elettricità, e ciò potrebbe rideterminare un rischio di evasione che andrebbe ad indebolire finanziariamente ancor più la Rai.
Reazioni positive da parte del Movimento 5 Stelle: Gabriella Di Girolamo, Capogruppo M5s in Commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni, ha sostenuto “la scorsa primavera il M5s non si è fatto promotore dell’avvio di questo lavoro sull’onda emotiva del caso Fedez: sono anni che chiediamo concretezza a tutto l’arco parlamentare. Sul fronte della governance, riteniamo che la Rai vada sottratta ala cappa della politica, che da troppo tempo la sovrasta, e che porta poi a pessime storture sulle nomine come quelle dello scorso autunno. Riteniamo che i riferimenti della Presidente Soldi ‘al modello Bbc’ vadano nella giusta direzione, ora sta alle forze politiche finalizzare: noi siamo pronti a fare la nostra parte per arrivare a un servizio pubblico più indipendente e all’insegna del pluralismo”. Di Girolamo apprezza le tesi di Soldi, ma critica l’intervento di Fuortes: “sul fronte economico, invece, siamo convinti che il quadro illustrato dall’Ad Fuortes pecchi oltremodo di limpidezza… Sulla distinzione tra il segmento commerciale e quello più strettamente legato al servizio pubblico, così come sulle strategie per l’ottimizzazione delle risorse. Si ragiona troppo sul prodotto e poco su ciò che c’è a monte. Su questo ci aspettiamo un deciso cambio di marcia, al fine da poter avere gli elementi adeguati che ci consentano addrizzare il tiro nel testo di riforma della Rai”, ha concluso.
Giorgio Iusti, sul quotidiano “La Notizia”, commenta sinteticamente: “Ha contro mezzo cda Rai ma Fuortes vuole più canone e pure il doppio mandato”, sostenendo che Ad e Presidente “tornano a battere cassa reclamando più fondi”. Una lettura riduttiva, ma senza dubbio efficace.
Da segnalare che Fuortes ha anche affrontato il tema dei “canali tematici” (secondo qualche osservatore critico, alcuni andrebbero cancellati, dato la loro “nanoshare”): “sono troppi? Stiamo facendo delle valutazioni. Il piano industriale, che verrà approvato nei prossimi mesi dall’azienda, ovviamente deciderà sui canali tematici. Devo dire che, complessivamente, i canali tematici interessano il 6 % dell’audience, una cifra molto importante. Quindi non si possono considerare residuali o da chiudere”.
Hanno ragione Soldi e Fuortes: la Rai ha certamente bisogno di maggiori risorse, ma per… fare che? Per quale… idea di servizio pubblico?!
Analista come sempre lucido, l’ex Sottosegretario alle Comunicazioni Vincenzo Vita (governi Prodi, D’Alema, Amato), oggi sulle colonne de “il Manifesto” (si) domanda: “sulla base di quali criteri si valuta la quantità di finanziamento necessario? Per fare che? Per quale servizio pubblico? Torniamo all’insuperata contraddizione: si dibatte sulle modalità di formazione dei vertici dell’apparato, ma assai scarsamente dei valori e delle missioni da ridefinire nell’età digitale e nella crossmedialità”. Si domanda ancora: “il servizio pubblico deve o no partecipare alla competizione diretta con l’offerta on demand, specializzata e a pagamento delle piattaforme”?!
Le parole di Vita sono assolutamente condivisibili, e nel nostro Paese il dibattito in materia boccheggia, al di là delle proposte di legge depositate in Parlamento, che peraltro non sono state finora oggetto di un confronto pubblico da parte della società civile: la questione essenziale non appassiona né la politica né i media (anzi, questi ultimi sono purtroppo presi quasi esclusivamente dal chiacchiericcio intorno a chi andrà a presentare la prossima edizione di Sanremo…).
Riteniamo che le relazioni di Marinella Soldi e Carlo Fuortes debbano essere oggetto di studio ed analisi da parte dei nostri parlamentari e di tutti coloro che si interessano del tema “servizio pubblico”: oggettivamente, esse mettono sul tavolo una serie di questioni finalmente ben argomentate, provocano quesiti di senso e di identità e di strategia. Da ricercatori e da studiosi, questa volta va dato atto che Presidente ed Ad si sono presentati con una ricca “cassetta degli attrezzi”.
Dopo un periodo di nebbie e confusione, il Presidente e l’Amministratore Delegato hanno finalmente scoperto le carte: una loro “idea di Rai” emerge dalle tesi e suggestioni di ieri in Commissione.
La Presidente Soldi: “Bbc modello di riferimento”, come finanziamento e come governance
Soldi ha sostenuto a chiare lettere che lei ritiene che sia e debba essere Bbc il modello di riferimento, superando il cosiddetto modello “duale” di finanziamento (canone + pubblicità) ed ampliando il “perimetro” dei soggetti chiamati a governare il servizio pubblico. Un servizio pubblico radiotelevisivo e mediale dal profilo identitario finalmente chiaro.
Condividiamo questa tesi, sulla quale lavoriamo da decenni, da ricercatori specializzati: basti ricordare il nostro saggio, scritto assieme a Francesca Medolago Albani, “Con lo Stato e con il mercato? Verso nuovi modelli di televisione pubblica nel mondo”, edito nel 2000 per i tipi di Mondadori, un testo ancora incredibilmente valido ed “attuale” – per l’Italia – a distanza di venti anni…
Ci auguriamo che il dibattito parlamentare e politico inizi presto a ragionare in modo serio e documentato su questa prospettiva.
“No Women no Panel – Senza donne non se ne parla”: firmato ieri un “memorandum d’intesa” che impegna Rai a garantire equa rappresentanza di generi nelle trasmissioni
A proposito dell’auspicabile crescente sensibilità della Rai verso la dimensione “sociale”… da segnalare infine che, sempre ieri, a Viale Mazzini, è stato sottoscritto da decine di realtà “un memorandum d’intesa”, promosso dalla stessa Rai e dal Ministero delle Pari Opportunità, intitolato “No Women no Panel – Senza donne non se ne parla”, finalizzato ad affermare meglio la parità di genere nelle trasmissioni della tv pubblica. Da ieri, la Rai si è impegnata ufficialmente e formalmente a garantire nei suoi “talk show” una equa rappresentanza di genere.
Tra i sottoscrittori, insieme alla Presidente Soldi ed alla Ministro Elena Bonetti, i rappresentanti del Cnel, dell’Anci, dell’Upi, della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, del Cnr, dell’Accademia dei Lincei e della rappresentanza in Italia della Commissione Europea… Ha ricordato la Presidente Marinella Soldi: “dati della Rai negli ultimi rilevamenti del 2020, dicono che la presenza femminile nella nostra programmazione è al 37 %… Solo il 22 % degli esperti nei programmi Rai è femmina… Soprattutto, che è diverso il peso: le donne vengono principalmente chiamate a raccontare storie personali. Meno delle loro competenze. Per essere un servizio pubblico rilevante, credibile, inclusivo e soprattutto sostenibile, abbiamo la responsabilità di proporre modelli femminili che vadano oltre gli stereotipi. Anche per far capire alle ragazze che possono aspirare a qualsiasi professione. Il Memorandum prevede un impegno semplice: che in ogni dibattito e talk show ci sia un’equa rappresentanza di genere”. Alcuni hanno sostenuto che si tratterebbe di una iniziativa dalla portata… “storica”: più semplicemente, ci sembra una iniziativa valida e di buon senso, finanche tardiva, ma comunque commendevole.
Clicca qui, per la relazione del Presidente della Rai Marinella Soldi, pubblicata sul sito web della Rai, di fronte alla Commissione Lavori Pubblici del Senato, Palazzo Madama, 18 gennaio 2022
Clicca qui, per la relazione dell’Amministratore Delegato della Rai Carlo Fuortes, pubblicata sul sito web della Rai, di fronte alla Commissione Lavori Pubblici del Senato, Palazzo Madama, 18 gennaio 2022
https://www.key4biz.it/la-presidente-soldi-e-lad-fuortes-rivelano-la-loro-idea-di-rai-modello-bbc/389033/