In queste settimane gli Stati Uniti sono travolti da manifestazioni e disordini molto violenti in seguito all’uccisione di George Floyd, 46enne afroamericano ucciso dalla polizia del Minnesota durante un controllo.
Tantissimi sono scesi in piazza a manifestare l’ennesimo atto di violenza e discriminazione ai danni della comunità afroamericana, mentre in tutto il Paese veniva schierata la guardia nazionale e la polizia lanciava i lacrimogeni davanti alla Casa Bianca.
Il post di Trump del 29 maggio
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’ennesimo messaggio troppo sopra le righe del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Il 29 maggio, con questo post su Facebook e Twitter, il Tyconn annunciava “quando iniziano i saccheggi, si inizia a sparare” commentando i disordini scoppiati in seguito alla morte di Floyd.
Il post ha creato indignazione da tutte le parti. Twitter ha subito bollato il tweet “come incitamento alla violenza“. L’azienda di Mark Zuckerberg, invece, non ha mosso un dito.
Lo sciopero virtuale dei dipendenti di Facebook
Dopo che Twitter ha deciso di intervenire sul post, molti dipendenti di Facebook hanno cercato di spingere i loro capi a fare altrettanto. Ma non è successo, anzi, il CEO ha continuato e continua a difendere la linee presa dal social network dichiarando che i social media non “dovrebbero essere l’arbitro della verità di tutto ciò che gli utenti postano online“.
Proprio per questo, alcuni dipendenti del celebre social – che stanno lavorando in gran parte da remoto a causa della pandemia – hanno messo in atto un’astensione dal lavoro virtuale” per contestare la scelta di Zuckerberg di non intervenire. I numeri esatti non sono noti. Alcune fonti parlano di 600 dipendenti, altre di 400.
Le critiche si sono saldate alle accuse che Zuckerberg riceve da tempo riguardo alla scarsa eterogeneità della dirigenza di Facebook, composta prevalentemente da maschi bianchi.
I dipendenti di Facebook tra scioperi e dimissioni
“Mark sbaglia e farò di tutto per fargli cambiare idea“, ha twittato Ryan Freitas, responsabile del tema di design di News Feed di Facebook. “Lavoro a Facebook e non sono orgoglioso di come ci stiamo comportando“, ha scritto invece Jason Toff, arrivato alla multinazionale come direttore del product management un anno fa.
I work at Facebook and I am not proud of how we’re showing up. The majority of coworkers I’ve spoken to feel the same way. We are making our voice heard.
— Jason Toff (@jasontoff) June 1, 2020
“Censurare le informazioni che potrebbero aiutare la gente ad avere un quadro completo è sbagliato. Ma concedere ad una piattaforma di incitare la violenza e diffondere la disinformazione è inaccettabile“, ha rincarato la dose Andrew Crow, responsabile del design di Portal di Facebook.
Molti, tra cui Owen Anderson e Timothy J. Aveni, ingegneri software, al contrario si sono dimessi dall’azienda non rispettando più i valori aziendali di Facebook.
I am proud to announce that as of the end of today, I am no longer a Facebook employee.
— Owen Anderson (@OwenResistor) June 1, 2020
La presa di posizione diversa delle altre big tech
La presa di posizione di Zuckerberg si scontra peraltro con la decisa presa di posizione delle big della Silicon Valley. “Restare in silenzio è essere complici. Black lives matter“, ha protestato ad esempio Netflix.
Facebook, ha annunciato che donerà 10 milioni di dollari ai gruppi che lavorano sulla giustizia razziale.
“Il dolore dell’ultima settimana ci ricorda quanto lontano il nostro Paese deve andare per dare ad ogni persona la libertà di vivere in pace e con dignità”, ha annunciato il Ceo Mark Zuckerberg qualche giorno fa in un post a sostegno della comunità nera. “Ci ricorda ancora una volta che la violenza con cui convivono oggi i neri in America fa parte di una lunga storia di razzismo e ingiustizia – scrive Zuckerberg – Tutti abbiamo la responsabilità di creare un cambiamento“.
Il cambiamento che, al momento, sta cercando di evitare.
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