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Kabul (Afghanistan) – C’è una parte d’Italia che fa notizia solo quando fa comodo ai più. Ci sono donne e uomini che dall’altra parte nel mondo – in un inferno di polvere e sabbia – rappresentano la parte migliore di questo Paese e che continuano a lottare e a morire per valori in cui neanche noi – da quest’altra parte del mondo – sembriamo crederci più di tanto. Sono i soldati. Quelli tirati in ballo quando si parla di mutui e missioni, bistrattati e anche odiati da una certa politica, ma poi invocati per difendere le nostre strade, per ricostruire un ponte, per spalare fango e melma sotto la pioggia. Sono persone prima di militari. Gli uomini in divisa su cui si accendono i riflettori quando un alpino, un parà o un lagunare torna a casa avvolto da un tricolore. Tre giorni di circo mediatico a ronzare intorno a famiglie e a citofonare mamme in lacrime. Ognuno fa il suo lavoro. Ma è oggi che vogliamo ricordare le bombe di Kabul. Dieci anni fa, esatti.
Erano da poco passate le 12 a Kabul, quel 17 settembre di dieci anni fa, quando 150 chili di esplosivo si fecero sentire nei pressi della piazza Massoud, colpendo in pieno due Lince italiani che stavano transitando nella strada. I mezzi si muovevano lentamente, perché poco più avanti ci sono l’aeroporto, il comando Isaf e l’ambasciata americana. Una Toyota bianca riuscì infilarsi tra i due blindati italiani esplodendo e facendo un’autentica strage: morirono sei paracadutisti italiani e ci furono quattro feriti tra i militari italiani e altri tra la popolazione civile che si trovava nei pressi. Un fatto che la cronaca ricorderà come la “Strage di Kabul”.
Questi i nomi delle vittime, tutti ragazzi tra i 26 e i 37 anni e tutti paracadutisti della Brigata Folgore del 186° e 187° reggimento e del 183° battaglione Nembo: tenente Andrea Fortunato di Lagonegro, in provincia di Potenza, 35 anni, che comandava la pattuglia; sergente maggiore Roberto Valente di Napoli, 37 anni; primo caporal maggiore GianDomenico Pistonami di Orvieto, di 28 anni; primo caporal maggiore Davide Ricchiuto nato in Svizzera ma residente nel Salento, di 26 anni; primo caporal maggiore Massimiliano Randino nato a Pagani in provincia di Salerno, di 32 anni; caporal maggiore Matteo Mureddu, 26 anni, di Solarussa, in provincia di Oristano, il più giovane.
A loro si aggiungono i nomi degli altri caduti in Afghanistan, partiti per una «missione» che per essere «di pace» ha fatto fin troppe vittime. Al silenzio di un’Italia che ignora contrapponiamo il nostro silenzio ma in senso di rispetto per loro e per tutti i 54 caduti dell’Afghanistan. Alle loro famiglie affidiamo questo messaggio: «noi, non dimentichiamo».
E, così abbiamo tirato fuori questo nostro vecchio video di qualche anno fa. Per i caduti dell’Afghanistan e delle «missioni di pace» ma – soprattutto – per i nostri soldati. Tutti.
http://ilkim.it/la-strage-dimenticata/
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