La tecno-paura delle esplosioni in Libano può arrivare in Europa?

  ICT, Rassegna Stampa
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Le questioni relative all’attacco esplosivo avvenuto giorni fa in Libano sollevano questioni critiche circa l’uso della tecnologia. A differenza di quanto accaduto in passato, quando l’hi-tech, in primis gli smartphone, erano destinatari inattesi di report psicologici e socio-economici circa l’uso, e l’abuso, che di questi se ne fa, anche da parte dei minori, oggi l’innovazione che abbiamo tra le mani assume un significato differente.

La catena che è stata innescata ai danni degli adepti di Hezbollah solleva naturali questioni circa il controllo della supply chain dentro e fuori il paese. Non solo chi ha fornito i cercapersone e gli altri dispositivi modificati ma anche le aziende che hanno preso parte alla catena di fornitura, con la paura che l’attacco terroristico del futuro potrebbe essere dentro le tasche dei nostri jeans.

Tecno-paura

Non a caso, adesso i cittadini in Libano sono tutti spaventati di usare qualunque cosa. Non tanto come obiettivi diretti della frangia nemica ma per l’eventualità di camminare, fare la spesa, parlare, con un membro di Hezbollah, magari senza saperlo. “Ora dobbiamo pensarci due volte prima di usare la tecnologia”, ha affermato un libanese in un’intervista alla BBC .

Molti in Libano ora vivono nella paura di una terza ondata di attacchi. Preoccupati che altri dispositivi possano essere piazzati come trappole esplosive, i combattenti di Hezbollah in preda al panico hanno strappato le batterie dai loro walkie-talkie e le hanno gettate in spazi aperti. I civili hanno espresso terrore per il fatto che i loro telefoni cellulari e altri dispositivi domestici possano trasformarsi in bombe, e molti di loro stanno rimuovendo le batterie e le schede SIM. “Non sappiamo se riusciremo a stare accanto ai nostri laptop, ai nostri telefoni. Tutto sembra un pericolo a questo punto e nessuno sa cosa fare”.

L’Europa è in pericolo?

La domanda adesso è obbligata: siamo in pericolo anche dalle nostre parti? Il capo della politica estera UE, Josep Borrell, ha condannato la serie di esplosioni, sottolineando che il rischio di un’escalation militare, con conseguenze devastanti per l’intera regione, richiede una “mobilitazione urgente”. È chiaro che la questione è delicata ma, per il momento, sotto controllo. Ci sono troppe variabili e troppe violazioni sarebbero attese nel merito della supply chain per pensare che i nostri telefonini e altri aggeggi connessi possano essere oggetto di modifica per diventare armi di autodeflagrazione.

È però un fatto che le aziende legate alla produzione dei cercapersone esplosi in Libano siano tutte sul suolo europeo. Bulgaria in primis ma con un occhio anche alla Norvegia. Qui risiede il fondatore di Norta, Rinson Jose, una delle compagnie accostate alla realizzazione degli accessori nelle mani di Hezbollah. Come scrive la Reuters, i vicini in un tranquillo sobborgo di Oslo hanno detto di non sapere molto di lui. Amund Djuve, CEO di DN Media, dove attualmente lavora Jose, ha riferito di essere a conoscenza delle segnalazioni e di aver allertato la polizia e i servizi di sicurezza. La polizia di Oslo ha dichiarato di aver avviato “indagini preliminari sulle informazioni emerse”. L’agenzia di intelligence interna norvegese, PST, è a conoscenza della situazione e tiene gli occhi aperti.

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