«Come può uno scoglio arginare il mare?». In effetti anche lo scoglio di domani, l’indicazione al Quirinale del premier del primo governo gialloverde da parte di Di Maio e Salvini, forse verrà in qualche modo superato.
Una cosa è sicura: un unico nome verrà presentato al presidente della Repubblica e sarà un nome scelto dalla squadra pentastellata, indicato per le sue competenze tecniche, ma di fatto del tutto e per tutto politicamente legato al M5S. Per Salvini il capitano della nave non è importante. Secondo lui l’imbarcazione è costruita con materiali di prima qualità e quindi a questo punto è indifferente chi sia a guidarla. Schettino docet. L’unica cosa importante per il leader leghista è che il timoniere non sia Di Maio, perché altrimenti Matteo perderebbe la faccia. Salvini si è convinto del fatto che mettere a capo del governo uno qualunque sia la cosa migliore. Se poi questo «qualunque» è un pentastellato e ha rapporti molto stretti con Di Maio, poco importa.
Più il profilo è basso, meglio è: il massimo sarebbe «la cuoca di Lenin», tanto per tirare fuori una citazione dotta, ma Di Maio non è arrivato a tanto e ha proposto una rosa di nomi di professori, tra cui la Lega ora è chiamata a scegliere. A questo punto, per i due leader loro il gioco è fatto: Mattarella darà l’incarico all’uomo da loro indicato, che come un «Capitan Findus» proporrà come ministri tutti i sui bastoncini, la nave salperà dal porto veloce e la navigazione sarà garantita per cinque anni.
Me la fate però dire una cosa? Non è che i due leader, autodegradatisi a comandanti in seconda, stiano facendo i conti senza l’oste? La nomina del presidente del Consiglio spetta al capo dello Stato e non è detto che il Capitan Findus gialloverde sia di gradimento del Colle. Mattarella potrebbe avanzare dubbi e perplessità, che ben difficilmente avrebbe potuto sollevare se il nome fosse stato quello di Matteo o di Luigi, avendo entrambi avuto o una legittimazione politica attraverso il voto.
Ma sappiamo che Salvini non vuole: punta al Viminale, per via delle ruspe, e pertanto anche Di Maio deve, a malincuore, fare altro. Ma se davvero Mattarella chiedesse a M5S di proporre un diverso profilo, che faranno i due, dopo averci messo settanta giorni per accordarsi sull’unico nome che presenteranno domani? Si prenderanno altri due mesi per cercare una nuova intesa? Anche Grillo, aprendo simbolicamente una scatoletta di tonno, glielo ha detto con chiarezza: «Basta, ci avete rotto il cazzo».
Attenzione, il Presidente potrebbe tentare di forzare un po’ la mano e, ritenendo inadeguato Capitan Findus, riflettere sulla fine analisi politica di Grillo per concludere che, a questo punto, il capo del governo lo nomina lui, assumendosi la responsabilità politica e istituzionale dell’atto. La squadra di Mattarella è già pronta da tempo, capitano incluso, e la strada del «governo neutrale» sarebbe percorribile. Certo, ci sarebbe bisogno del voto di fiducia del Parlamento, ma Berlusconi ha proprio ora finito di fare la riabilitazione e può di nuovo correre. Oltre tutto, ne ha una voglia matta. La Meloni poi potrebbe essere tentata di vendicarsi del brutto trattamento che Salvini le ha riservato. Quanto a Renzi e al Pd, ricompattati con tutto il resto dei “sinistrati”, raggiungerebbero l’estremo godimento dei sensi.
Non so fare i calcoli, ma se l’alleanza gialloverde a Palazzo Madama oggi gode di un vantaggio di soli sei senatori, significa che anche gli altri, messi insieme, non sono lontani dalla maggioranza. E qualche «responsabile» Berlusconi per il bene del Paese lo trova di sicuro. E forse pure la Lega si spacca. Ma anche se il governo del presidente non avesse la maggioranza potrebbe comunque, una volta che ha giurato, rimanere in carica per gli affari correnti, al posto di quello esistente. E si tornerebbe solo in autunno, o più probabilmente anche il prossimo anno, alle elezioni. Qualcuno penserà che se questo succedesse scoppierebbe la rivoluzione. Io non credo. Quel che è certo però è che la fortuna politica di Di Maio e Salvini sarebbe finita. Questo, sì, lo credo.
Paolo Becchi, Libero 20.5.18
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