O si rifà l’Italia o si muore

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A volte verrebbe da chiedere ai cosiddetti sovranisti – quindi lo chiediamo a noi stessi perché nessun cittadino italiano, memore dell’articolo uno della propria Costituzione, può adontarsi per tale meraviglioso epiteto – quando mai, effettivamente, l’Italia sia stata sovrana, dall’entrata in vigore della suprema Carta, il primo gennaio 1948. Forse la risposta corretta è: l’Italia ha ‘tentato’ di essere sovrana, ma lo ha fatto con più o meno convinzione, senza mai riuscirvi del tutto. E lo ha fatto attraverso i pensieri, le parole, le opere di uomini politici a cui deve andare, anzichenò, la nostra condizionata ammirazione nella misura in cui essi siano stati, oppure no, fieri sovranisti. Se dovessimo suddividere la storia patria in periodi, potremmo, a grandi linee, individuarne quattro: il primo dal 1948 al 1962; il secondo dal 1962 al 1978; il terzo dal 1978 al 1992; il quarto dal 1992 a oggi. Ed è come se assistessimo a un progressivo degrado della nostra sovranità, da un’età dell’oro a un’età del ferro, proprio come avviene nel poema di Esiodo, ‘Le Opere e i giorni’, uno dei classici della letteratura greca antica.
Nella prima era giganteggia la figura di Enrico Mattei il quale prende un’azienda pubblica fondata nel ventennio fascista, l’Agip, con il compito di liquidarla e la usa come trampolino per creare l’ENI e contendere alle mega-corporation angloamericane i mercati del metano e del greggio mondiali. Mattei osa l’inosabile, fa accordi con paesi produttori di greggio in grado di mettere il turbo all’economia italiana e sottrarre quote enormi di mercato alla concorrenza a stelle e strisce. Mattei è geniale perché usa le armi della retorica capitalistica (la famosa competitività) per sconfiggerla nel nome di un’idea del business socialmente assai più evoluta. Enrico Mattei viene ucciso. Dal 1962 al 1978 spicca la figura di Moro il quale, al di là e al netto delle fruste e inutili questioni ideologiche su comunismo e anticomunismo, elabora un progetto meno aggressivo (rispetto a Mattei), ma comunque efficace, col fine di dare una guida di matrice popolare al paese svincolata dall’invasiva ingerenza angloamericana, come pregevolmente spiegato nel recente libro ‘Il Golpe inglese’ di Cereghino e Fasanella. Anche Moro viene ucciso.
Veniamo al 1978-1992. In questo lasso di tempo, troviamo la pietra miliare della svendita della sovranità patria (il famoso divorzio Bankitalia-Tesoro del 1981), ma anche i residui sussulti di orgoglio nazionale (Sigonella, 1985) e di esercizio autonomo di politiche industriali e monetarie. Con il 1992, ha il via la ‘soluzione finale’ (cioè l’eccidio programmato) della democrazia italiana di cui vennero letteralmente smembrati i gangli vitali (Iri, Eni, telefonia): l’agenda dei lavori fu dettata, proprio in quell’anno del Signore, dagli investitori ‘invisibili’ del panfilo Britannia, a una classe politica prona e succube; in special modo, al cavalier servente della colonizzazione individuato dai potentati finanziari esteri, con sublime perfidia, proprio nel loro secolare (ma fittizio) nemico: il fu Partito Comunista, poi PDS, DS, PD. Oggi si apre la quinta e ultima fase: o si rifà l’Italia o la Repubblica muore. A noi la scelta.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com

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