Un regime patriarcale, narrato nel film Mustang, diretto da Deniz Gamze Erguven nel 2016. La mente è volata là. Alla pellicola che racconta di cinque sorelle che vivono in un piccolo villaggio sul mare con la severissima nonna e lo zio malvagio, dopo essere rimaste orfane sia di madre che di padre. Il piccolo villaggio sul mare si trova in Turchia, un posto non come gli altri.
Le 5 sorelle decidono di festeggiare la fine dell’anno scolastico e vanno a giocare sulla spiaggia, dove incontrano dei coetanei. Un gioco innocente viene trasformato dalle maldicenze in uno scandalo per il presunto “atteggiamento disinibito” delle giovani. Giunta la notizia all’orecchio della nonna, alle sorelle sarà vietato di uscire da casa, saranno installate sbarre di ferro alle finestre, si cercheranno matrimoni riparatori per restituire alla famiglia l’onore perduto. Le ragazze vivranno come in una prigione, ma non si arrenderanno mai per ritrovare la libertà.
Celebre è la scena della cena https://www.youtube.com/watch?v=muVW0XZYFc8
Si è consumato uno strappo con l’Europa dei diritti, dopo l’annuncio pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha ritirato la Turchia dalla convenzione di Istanbul, accordo internazionale che protegge i diritti delle donne, suscitando critiche per la crescente violenza domestica nel paese. Un paese che ha contato 300 femminicidi lo scorso anno, dati purtroppo controvertibili poiché non vengono conservati ufficialmente, e 78 dall’inizio del 2021.
Le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità mostrano che il 38% delle donne in Turchia è vittima di violenza da parte di un partner nel corso della vita, rispetto al 25% in Europa.
L’annuncio, quindi, ha scatenato un’ondata di proteste nelle principali città, con una vasta partecipazione di donne che sono scese in piazza per farsi sentire, nonostante le restrizioni imposte dalla pandemia da Covid-19. «Una decisione devastante, una enorme battuta d’arresto», secondo il segretario generale del Consiglio d’Europa delle 47 nazioni, Marija Pejcinovic Buric, una scelta che «compromette la protezione delle donne in Turchia, in tutta Europa e oltre».
E proprio sulla parola “oltre” sta il senso della Turchia all’interno dell’area di interesso strategico per l’Europa, in virtù del fatto che è proprio questo paese a filtrare i flussi migratori islamici.
Fin dal 2014, anno in cui la convenzione ha avuto efficacia, i gruppi conservatori turchi ne hanno contestato l’applicazione, sostenendo che tendeva ad indebolire la famiglia tradizionale, incrementava i divorzi e favoriva le rivendicazioni della comunità Lgtb+. Adesso Erdogan, secondo alcuni commentatori in cerca del sostegno degli integralisti islamici, ha sostenuto che la convenzione danneggia i valori della famiglia tradizionale e che i diritti delle donne sono e saranno comunque protetti dalla legislazione nazionale, così come anche ribadito dal ministro della famiglia, del lavoro e delle politiche sociali, Zehra Zumrut.
LA FIGLIA DI ERDOGAN
«La convenzione di Istanbul è stata un’importante iniziativa per combattere la violenza contro le donne. Al punto in cui siamo arrivati, ha ormai perso la sua funzione originaria e si è trasformata in una ragione di tensioni sociali. Consideriamo la decisione del ritiro della Turchia come una conseguenza di queste tensioni». A dichiararlo è stata l’associazione di donne islamica Kadem, la cui vicepresidente è Sumeyye Erdogan, 36 anni, figlia del capo dello stato Recep Tayyip Erdogan. A cambiare idea, insomma, è stata anche la figlia di Erdogan che proprio la scorsa estate aveva strenuamente difeso la convenzione.
Ad agosto del 2020, l’associazione ha dichiarato che “la priorità è combattere la violenza contro le donne e un ritiro di Ankara dal trattato difficilmente aiuterebbe a ridurla”. Inoltre “dire che questa convenzione determina una legittimazione degli orientamenti omosessuali mostra per lo meno una cattiva intenzione”.
LA CONVENZIONE
La convenzione in materia di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne, chiamata comunemente convenzione di Istanbul, è stata approvata dal comitato dei ministri dei paesi aderenti al Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 e aperta alla firma dall’11 maggio 2011.
È stata firmata da 32 paesi e il 12 marzo 2012 la Turchia è diventata il primo Paese a ratificarla.
L’Italia ha sottoscritto la convenzione il 27 settembre 2012 e il Parlamento ha autorizzato la ratifica con la legge n. 77/2013.
Si tratta di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, il primo messo a punto dall’Unione Europea in tal senso. Gli obiettivi della convenzione sono quelli “di prevenire e contrastare la violenza intrafamiliare e altre specifiche forme di violenza contro le donne, di proteggere e fornire sostegno alle vittime di questa violenza nonché di perseguire gli autori”.
E ancora. La convenzione mira all’individuazione di una strategia condivisa per il contrasto della violenza sulle donne, alla prevenzione della violenza, alla protezione delle vittime, alla perseguibilità penale degli aggressori, alla promozione dell’eliminazione delle discriminazioni per raggiungere una maggiore uguaglianza tra donne e uomini.
L’aspetto più innovativo del testo è senz’altro rappresentato dal fatto che la convenzione riconosce la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione.
Tutti gli attori a vario titolo coinvolti nella presa in carico delle vittime, sia a livello nazionale che internazionale, devono necessariamente coordinare le loro azioni, puntando anche ad adeguate politiche di prevenzione e contrasto del fenomeno, nonché per il sostegno alle vittime e lo sviluppo dei servizi a loro dedicati.
La convenzione prevede inoltre la protezione e il supporto ai bambini testimoni di violenza domestica e la penalizzazione dei matrimoni forzati, delle mutilazioni genitali femminili e della sterilizzazione forzata.
I PAESI DELL’EST
Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia non hanno ancora ratificato la convenzione. In Ungheria, nel 2020, è stata bocciata dal Parlamento perché considerata favorevole alla cosiddetta ideologia gender e, indirettamente, al diritto d’asilo per le vittime di violenza e all’immigrazione clandestina. La Polonia aveva in un primo tempo aderito, poi il governo conservatore ha fatto marcia indietro. La Corte costituzionale bulgara nel 2018 ha addirittura definito la convenzione di Istanbul incostituzionale perché rendeva meno chiara la distinzione fra uomo e donna.
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