Poco prima di annunciare il taglio della produzione di 500.000 bpd, il vice primo ministro russo Alexander Novak aveva avvertito del rischio di una riduzione della produzione di petrolio quest’anno. Questo rischio, ha detto Novak, è dovuto ai divieti di importazione dell’UE e ai massimali di prezzo sul greggio e sui prodotti petroliferi russi.
“Sì, ci sono questi rischi. Ma li valuteremo nel prossimo futuro”, ha dichiarato Novak ai giornalisti, come riportato dall’agenzia di stampa russa TASS.
Fino all’annuncio di oggi, la produzione e le esportazioni di petrolio della Russia avevano resistito, sfidando le prime aspettative di un crollo dell’offerta dopo che l’Occidente aveva deciso di imporre sanzioni sul petrolio russo nel tentativo di ridurre le entrate di Vladimir Putin dalle vendite di energia.
Novak aveva detto in precedenza che la produzione petrolifera russa si sarebbe mantenuta a 9,8-9,9 milioni di barili al giorno (bpd) nel gennaio 2023, vicino ai livelli di novembre e dicembre 2022, appena prima dell’embargo dell’UE e del tetto di prezzo sulle importazioni di greggio. La Russia ha mantenuto la produzione anche nella prima settimana di febbraio.
Nel frattempo, le entrate di bilancio della Russia stanno sprofondando a causa dei bassi prezzi della miscela di Urali, il suo fiore all’occhiello. Gli sconti a cui viene offerto il petrolio russo hanno fatto sì che il prezzo dell’Urals sia sceso a circa 30 dollari al barile al di sotto del benchmark internazionale, il Brent.
A causa del basso prezzo dell’Urals a gennaio, il bilancio russo ha registrato un deficit di 24,7 miliardi di dollari (1,76 trilioni di rubli), rispetto all’avanzo del gennaio 2022, poiché le entrate statali da petrolio e gas sono crollate del 46,4% a causa del basso prezzo dell’Urals e delle minori esportazioni di gas naturale, ha dichiarato il Ministero delle Finanze russo nelle stime preliminari di questa settimana.
La Russia sta valutando la possibilità di tassare le aziende petrolifere in base al prezzo del Brent – anziché dell’Urals – per limitare le ricadute sulle entrate di bilancio dovute all’aumento dello sconto dell’Urals sul Brent, ha riferito la settimana scorsa il quotidiano russo Kommersant, citando alcune fonti. Però questo richiede che i prezzi di Ural e Brent non divergano eccessivamente,
Nel bilancio di previsione per gennaio di questa settimana, il Ministero delle Finanze ha confermato parte di questa notizia, affermando che “considerando il fatto che la rilevanza del prezzo degli Urali nel calcolo dei prezzi all’esportazione è diminuita, sono attualmente allo studio vari altri approcci per passare a indicatori di prezzo alternativi a fini fiscali”.
Naturalmente ci sono molte ragioni per cui la Russia vuole aumentare i prezzi del petrolio e sembra che l’OPEC+ non abbia intenzione di resistere a questi sforzi. Ma a prescindere da quali altri fattori siano in gioco, sembra proprio che le sanzioni, gli embarghi e i limiti di prezzo stiano spingendo la produzione russa verso il basso, ma rischiamo di essere noi a pagarne il prezzo.
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