Gli ultimi giorni hanno registrato una discreta quantità di eventi, iniziative, notizie, ognuna delle quali meriterebbe un approfondimento, nell’agenda della “politica culturale” del nostro Paese: quest’edizione della rubrica “ilprincipenudo”, curata da IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale per il quotidiano online “Key4biz”, propone una sorta di “riassunto” per grandi temi, ovvero un florilegio in ordine non gerarchico…
L’Agcom saprà esercitare il proprio pugno duro nella lotta alla pirateria, intervenendo “entro 30 minuti” dalla segnalazione dell’illecito online?
Senza dubbio importante, ieri mercoledì 12 luglio, l’approvazione definitiva a Palazzo Madama di una legge che intende combattere la piaga della pirateria, con pugno duro finalmente, dopo anni (decenni) di sostanziale tolleranza lassista (basti pensare al perdurante caos sul web ed all’indisturbata diffusione del mitico “pezzotto”): al di là dell’approvazione all’unanimità (140 voti a favore, nessun contrario), la norma certamente più significativa è la previsione di interventi celeri, per bloccare tempestivamente le pratiche illegali (si tratta dell’Atto Senato n. 621, “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d’autore mediante le reti di comunicazione elettronica”).
Si deve attendere il regolamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, per rendere la legge concretamente operativa, ma senza dubbio si tratta di un apprezzabile salto di qualità: i siti pirata dovrebbero essere bloccati entro 30 minuti (!) dalla segnalazione degli aventi diritto. Più precisamente, si prevede il blocco delle piattaforme che diffondono illecitamente eventi “live”, tra cui sport, prime visioni di film e programmi di intrattenimento.
A fronte della segnalazione dei titolari dei diritti, la nuova legge attribuisce all’Agcom il potere di ordinare, con intervento “tempestivo” entro 30 minuti, l’immediato oscuramento del sito che trasmette illegalmente il contenuto, e di “ordinare ai prestatori di servizi, compresi i prestatori di accesso alla rete, di disabilitare l’accesso a contenuti illeciti”, e così anche “i soggetti gestori di motori di ricerca e i fornitori di servizi della società dell’informazione coinvolti a qualsiasi titolo nell’accessibilità del sito web o dei servizi illegali”.
Tutti dovranno eseguire il provvedimento dell’Autorità “senza alcun indugio e comunque entro il termine massimo di 30 minuti dalla notificazione” nei casi di contenuti trasmessi in diretta.
Si rimanda agli approfondimenti proposti su queste colonne (vedi, tra gli ultimi interventi, “Key4biz” di ieri 12 luglio 2023, “Ddl antipirateria, il Parlamento approva. Bagnoli Rossi: “Fenomeno grave, 345 milioni di illeciti nel 2022”).
Entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, l’Autorità presieduta da Giacomo Lasorella, in collaborazione con l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (Acn), deve convocare un tavolo tecnico per mettere a punto una piattaforma, che dovrà essere pronta “entro sei mesi”.
La domanda è: saprà Agcom esercitare operativamente al meglio questo potere poliziesco repressivo?! Ce lo si augura…
Il misterioso “contratto di servizio” Rai finalmente vede la luce, ma il dibattito pubblico non è stato ancora avviato, con la società civile e gli “stakeholder” tutti: verranno coinvolti negli “Stati Generali” annunciati dalla Presidente della Vigilanza Barbara Floridia?
La vicenda, in altri Paesi, sarebbe divenuta un vero scandalo nazionale, ma invece in Italia pochi (pochissimi, e tra questi chi cura la rubrica IsICult per Key4biz) hanno denunciato il carattere oscuro, anzi segreto, che ha connotato finora la gestazione di un documento che, sulla carta, è (dovrebbe essere) fondamentale per mettere a fuoco l’identikit del servizio pubblico radiotelevisivo, a fronte di una Rai la cui offerta è sempre più confusa con quella delle emittenti televisive commerciali.
Il 3 luglio 2023, il Consiglio di Amministrazione Rai ha approvato la bozza di contratto, ma essa è stata mantenuta “top secret”, come se contenesse chissà quali… segreti industriali.
Il testo è divenuto di dominio pubblico soltanto un paio di giorni fa.
Va osservato che la notizia purtroppo non ha provocato alcun interesse giornalistico.
Il contratto è stato trasmesso al Parlamento ovvero alla Presidenza della Camera e quindi alla Commissione di Vigilanza ieri l’altro, martedì 11 luglio. Nel silenzio dei più, una volta ancora.
A distanza di due giorni… nessuna traccia sui quotidiani nazionali, se non oggi su “La Stampa” ed “il Fatto”.
Incredibile, ma vero. A Roma, si direbbe “frega niente a nessuno”?
La gran parte dei giornalisti si sono appassionati al penoso “caso Facci”, trascurando l’importanza di questo documento, fondamentale per i futuri possibili della Rai.
Oggi, il sempre accurato e brillante Giovanni Valentini boccia il testo, con un intervento duro su “il Fatto Quotidiano”: “più che uno ‘schema’, quello presentato alla Camera è un manifesto politico e ideologico con cui la destra sovranista punta a lottizzare il servizio pubblico radiotelevisivo come e anche più di tutti i governi che l’hanno preceduta. Un documento programmatico (…) che s’ispira al modello illiberale di Polonia e Ungheria, come presupposto per colpire l’informazione, la giustizia, il Parlamento e stravolgere la Carta Costituzionale”. Giudizio pesante assai, che non ci sentiamo di condividere, pur avendo letto soltanto superficialmente il testo della bozza del novello “contratto di servizio”. Non ci sembra un documento così sovversivo e pericoloso: in verità, si tratta di un testo – ancora una volta – assai generico, che detta principi generali che sono vincolanti soltanto in teoria.
Tanto volte abbiamo scritto – anche su queste colonne – che si tratta di un documento sfuggente, etereo, acquoso. Scritto sull’acqua, piuttosto che sulla sabbia. Vacuo.
Valentini è invece convinto che esso getti le basi per rinnovare la prassi del predicare bene e razzolare male: “Predicare (bene) che l’offerta della Rai dev’essere “rilevante, inclusiva, sostenibile, responsabile, credibile”. Ma razzolare (male) con la soppressione del giornalismo d’inchiesta, le estromissioni dei conduttori più scomodi, i tagli e le censure di Rai News24 contro cui (finalmente) protestano i redattori di quella testata”.
Proporremo presto su queste colonne un’analisi critica della bozza dell’11 luglio, che comunque pubblichiamo in anteprima su queste colonne.
Auspicando che si possa provocare finalmente un dibattito pubblico, ampio e plurale, critico ed eterodosso, e magari… dissacrante!
In una lunga intervista sul quotidiano “La Stampa”, firmata da Nicolò Carratelli, la Presidente della Commissione di Vigilanza Rai Barbara Floridia (M5s) annuncia oggi che “forse” chiederà una proroga rispetto al termine di 30 giorni previsti per la elaborazione del parere (si ricordi: non vincolante!).
Ed annuncia una iniziativa pubblica, già pomposamente (ed un po’ banalmente) denominata “Stati Generali per la Riforma della Rai”. Idee generiche e finanche un po’ confuse: “li faremo in autunno, per ridefinire il concetto di servizio pubblico, visto che la società è cambiata e anche le sue esigenze. Poi, certo, la politica dovrà trovare la quadra sulla futura governance, visto che a parole tutti vogliono liberare la Rai dai partiti. L’obiettivo è redigere un documento con punti accordo tra le forze politiche”…
Bene: come verrà impostata l’iniziativa di questi ennesimi “Stati Generali”?!
Verranno coinvolte soltanto le “forze politiche”?!
I nuovi (vecchi) palinsesti Rai. Si deve bussare alla porta di Amazon Italia per trovare un qualche guizzo di innovazione nell’offerta audiovisiva nazionale?
Da segnalare che nulla di granché significativo è emerso dalla kermesse di presentazione dei palinsesti Rai, venerdì scorso 7 luglio in quel di Napoli (presso l’Auditorium “Domenico Scarlatti” del Centro di Produzione Rai).
Grande l’attesa. Grande la delusione.
Facciamo nostre le parole, sferzanti, di Andrea Parrella, su “Fanpage” dell’8 luglio, a partire dal titolo, “Il problema della nuova Rai non è Pino Insegno, ma che di nuovo non c’è quasi niente”. Condividiamo le sue critiche: “c’è l’impressione di un rimasticamento generale che viaggia di pari passo a una clamorosa carestia di fantasia. Nei nuovi palinsesti della Rai non sembra esserci ombra di un guizzo, un’intuizione, una scommessa, una concreta novità sotto il profilo linguistico ed estetico, così come il recupero di grandi assenti dell’ultima stagione. L’impianto delle tre reti è rimasto pressoché identico, così come i titoli più altisonanti e le fasce di maggiore successo”.
Torneremo sul tema “palinsesti”, anche perché alcune novità, innovazioni, provocazioni sono emerse dalla presentazione, ieri a Roma (nella sala più accogliente del ristrutturato ed elegante Cinema Barberini), dell’offerta di Prime Amazon Video, curata da Nicole Morganti (Head of Italian Contents), pur nei limiti della logica “globalista” di una piattaforma multinazionale, abbiamo intercettato alcune idee, basate su una dichiarata volontà di far uscire artisti, attori, registi, produttori italiani dalle rispettive “comfort zone”… Una vocazione all’innovazione che si ritrova in Netflix, ma che appare per ora purtroppo assente da Viale Mazzini.
Un sasso nello stagno, nutrendo fiducia nella Presidente Rai Marinella Soldi, l’ha lanciato, l’indomani rispetto alla presentazione dei palinsesti, il mediologo Michele Mezza, che, sulle colonne di “Huff Post”, auspica che la Rai “rinnovi la missione digitale con un occhio all’intelligenza artificiale (e un nuovo patto di trasparenza con gli utenti”. Se è vero che Soldi ha fatto un generico cenno all’I. A. nel suo intervento partenopeo (annunciando un esperimento produttivo), francamente non comprendiamo ove intravveda cotanta speranza Mezza…
D’altronde, su fronte altro, va dato atto che sono trascorsi soltanto due mesi dall’insediamento del nuovo Amministratore Delegato Roberto Sergio, assistito dal diarca Giampaolo Rossi, Direttore Generale.
Diamo loro tempo, per verificare se ci sarà un vero “nuovo corso” nella televisione pubblica italiana.
Per ora, i segnali sono assolutamente timidi, e prevale soprattutto conservazione.
Anche il nuovo slogan, lanciato venerdì scorso per l’occasione, non ci sembra molto innovativo né particolarmente accattivante: “Rai. Di tutto, di tutti”.
Da segnalare la nascita, come da decisione del Cda del 25 maggio, di una nuova… Direzione. Se ne sentiva il bisogno? Chissà.
Nel silenzio dei più, è nata la novella Direzione Coordinamento Iniziative Strategiche, che dovrebbe divenire il punto di riferimento strutturato e di coordinamento delle attività riferite in particolare al “Piano Industriale”, al “Piano di Sostenibilità” e al “Contratto di Servizio”…
Ennesima superfetazione… architettonico-burocratica, provocata anche dal “manuale Cencelli”?!
Il 15 giugno, il Cda ha affidato la guida della Direzione per il Contratto di Servizio e Progetti Strategici Connessi – inquadrata sotto la succitata Direzione Coordinamento Iniziative Strategiche – a Luca Mazzà (che dirigeva le Relazioni Istituzionali).
Nello stesso giorno, il Consiglio ha approvato le “Linee Guida del Piano Industriale”. Ma ascoltare l’Ad Sergio che ri-teorizza una Rai “digital media company” non può che provocare un conato di noia, un ennesimo sbadiglio: quante decine di volte abbiamo ascoltato simili teorizzazioni, nel corso degli ultimi anni?!
Torneremo presto su questi temi…
Grande è lo scetticismo. Soprattutto considerando come sono stati gestiti sia il “contratto di servizio” sia il “bilancio sociale” della Rai…
Stage & Indies chiedono al Ministro Sangiuliano una quota a favore della musica “made in Italy” nelle radio…
Su queste colonne, nella precedente edizione della rubrica IsICult “ilprincipenudo” (vedi “Key4biz” del 7 luglio 2023, “La Rai alla deriva e il ‘sovranismo culturale’ tra cinema e musica e digitale” ), affrontavamo il tema del “sovranismo culturale” (e digitale) e richiamavamo la proposta di legge che voleva imporre una “quota obbligatoria” di musica italiana nelle emittenti radiofoniche (come peraltro avviene da anni in Francia), sia per una esigenza culturale (sovranismo musicale?!) sia per una esigenza economica (evitare di arricchire prevalentemente le filiali delle multinazionali musicali e multimediali americane, tedesche, giapponesi…). Ricordavamo che la tesi è stata rilanciata recentemente anche dall’eterodosso cantautore Marco Castoldi in arte Morgan, il quale sostiene di aver registrato una qual certa disponibilità da parte del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (Fratelli d’Italia), che però non ci risulta si sia finora pubblicamente pronunciato in materia.
Ricordavamo anche che l’idea fu lanciata dalla “destra”, sul modello francese e che pure era stata presa in considerazione, e nel 2017 anche dall’allora Ministro Dario Franceschini (Partito Democratico). Una dichiarazione di Franceschini all’Ansa (20 novembre 2017) recitava infatti: “stiamo pensando di prevedere quote di obbligatorietà di trasmissione della musica italiana… In Francia, ci sono quote per le radio (il 40 %, introdotte nel lontano 1994 con la cosiddetta legge Jacques Toubon, n.d.r.). Noi vedremo. Potrebbe esserci una quota obbligatoria, oppure qualche forma di premialità per chi lo farà…”.
Non se ne è fatto poi nulla. Il leghista Alessandro Morelli (ex Direttore di Radio Padania) ha firmato nel 2019 una proposta di legge che prevedeva che, delle canzoni in radio, 1 su 3 dovesse essere italiana (si tratta dell’Atto Camera 1578, presentato il 6 febbraio 2019, “Disposizioni in materia di programmazione radiofonica della produzione musicale italiana”). L’iter della proposta si è arenato e peraltro Morelli (rieletto in Parlamento, deputato nella XVIII Legislatura ed oggi Senatore nella XIX) è stato nominato dal Governo Meloni Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alla Programmazione e Coordinamento Economico. Nessuna traccia, nella nuova Legislatura, di quella idea…
Lunedì scorso 10 luglio 2023, il Coordinamento Stage & Indies (che si definisce “la filiera della musica indipendente ed emergente” italiana) ha richiesto un intervento urgente del Ministro Gennaro Sangiuliano, prendendo spunto dalla presentazione del Regolamento del Festival di Sanremo edizione 2024: “è uscito il Regolamento del Festival di Sanremo 2024 con le sue tradizioni e novità, presentato ieri sera in piena estate al Tg1. Tutto bene (o quasi). Infatti, manca, al contrario della Francia e di altri paesi avanzati, una quota riservata alle sole imprese italiane al 100 %, in genere le piccole e medie imprese della discografia che rinnovano il panorama musicale italiano senza tutele nel proprio Paese e che contribuiscono alla realizzazione dell’80 % dei progetti musicali presenti sul mercato e al 70 % dei piccoli e medi eventi dal vivo presenti in Italia”.
Il Coordinamento Stage & Indies ripropone dati che abbiamo già segnalato su queste colonne: nel 2023, al Festival di Sanremo furono proposte 600 canzoni dai big e 1.200 dai giovani circa: e, sulle 28 selezionate, solo 4 erano dedicate alle case discografiche totalmente italiane, con una quota pari soltanto all’8 %. “Questo lo stato grave dell’arte”, sostiene il portavoce Giordano Sangiorgi, che chiede “un intervento del Ministero della Cultura sul Comune di Sanremo e sulla Rai, che inserisca una quota del 40 % per le imprese nazionali discografiche indipendenti a Sanremo 2024, con le stesse tutele che troviamo in Francia e in altri Paesi avanzati che tutelano le start up e le piccole e medie imprese musicali e culturali del proprio Paese contro lo strapotere delle multinazionali musicali”. E così continua: “facciamo appello al Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che sappiamo attento a queste tematiche culturali, affinché intervenga per inserire una quota di tutela delle imprese del nostro Paese al prossimo Festival di Sanremo e nelle prossime kermesse tv a partire dall’autunno prossimo, affinché si attengano a profili etici e professionali capaci di tutelare le imprese, il lavoro creativo e l’occupazione culturale e musicale nel nostro paese. Inoltre, sempre al prossimo Festival di Sanremo, si tuteli la pluralità delle voci con le emissioni di bandi realizzati da più soggetti diversi e con gli spazi presenti nelle piazze centrali di Sanremo dedicate a tutti i generi e gli stili musicali, senza esclusioni”.
Ad oggi, non risulta essere giunta reazione di sorta da parte del Ministro.
Sul tema, tace anche la Società Italiana degli Autori e Editori (Siae).
La segnalazione Agcom al Governo su “quote” e “tax credit” e le oscure manovre in corso…
Nell’edizione di venerdì scorso 7 luglio di questa rubrica, segnalavamo come proprio venerdì fosse emersa una “segnalazione” al Governo dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in materia di “quote obbligatorie” nella programmazione televisiva ed in materia di “tax credit” cinematografico e audiovisivo.
La “segnalazione” al Governo è stata assunta dal Consiglio dell’Autorità il 27 giugno, ma ne è stata data pubblicità soltanto il 7 luglio, e ci si domandava: forse in tempo utile nelle more della riunione per la revisione del “tax credit” convocata per lunedì prossimo 10 luglio dalla Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni al Ministero della Cultura?!
Si ricordi che Agcom stesso sosteneva come la segnalazione fosse il risultato di evidenze derivanti dalle attività di verifica annuale e di monitoraggio condotte dall’Autorità, dalla consultazione pubblica che ha portato all’adozione del nuovo “Regolamento” in materia di obblighi di programmazione e investimento a favore di opere europee e di opere di produttori indipendenti, nonché dal confronto con gli operatori, che ha avuto luogo in occasione del convegno “Restate con noi. Storie, identità, valori nella Tv che cambia”, organizzato dall’Autorità lo scorso 24 maggio.
In sintesi, l’Autorità invita il Governo a valutare l’opportunità di un ripensamento dell’attuale impianto del sistema delle cosiddette “quote europee” e “sotto-quote”, estremamente dettagliato e rigido, in direzione di una maggiore semplificazione, flessibilità e trasparenza. In sostanza, allentare le rigidità…
Inoltre, l’Autorità ha evidenziato l’opportunità di una riflessione su modalità, organizzazione e criteri di applicazione del “tax credit”, uno strumento che ha contribuito allo sviluppo del settore audiovisivo, ma che oggi agisce in un contesto notevolmente mutato. Peraltro, una valutazione appare necessaria anche sulla opportunità di definizione di strumenti di sostegno alla crescita della produzione audiovisiva nazionale, previsti dalla legge n. 220/2016 (la cosiddetta “Legge Franceschini” su cinema e audiovisiva), ma “privi al momento di una concreta attuazione” (affermazione assai forte e dura, questa!).
Infine, l’Autorità segnala la necessità di una riflessione, da promuovere anche a livello europeo, su una definizione di “produttore indipendente” omogenea tra tutti gli Stati membri, per superare una evidente incongruenza nella valutazione del ruolo di controllo o collegamento con i fornitori di servizi media, con l’effetto di penalizzare i produttori nazionali.
Dibattito a porte chiuse: ancora una volta… trasparenza zero, valutazione di impatto zero
Se ne è parlato anche nella riunione convocata dalla Sottosegretaria delegata Lucia Borgonzoni (Lega Salvini) al Ministero. Riunione a porte chiuse ed a inviti.
Si ha notizia che, ancora una volta, sia stata ascoltata soltanto la voce delle due più potenti lobby dei produttori cinematografici e televisivi, ovvero l’Anica guidata da Francesco Rutelli (che oggi inaugura la sua effervescente kermesse multimediale “Videocittà” a Roma) e l’Apa guidata da Chiara Sbarigia (che è anche Presidente di Cinecittà, ma nessuno pare essersi posto dubbi sul potenziale conflitto di interessi, e, più in generale, sulla opportunità di un simile duplice ruolo).
Non sono state coinvolte le associazioni degli autori.
Si ricordi che lunedì 3 luglio, la storica Associazione Nazionale degli Autori Cinematografici (Anac) guidata da Francesco Ranieri Martinotti, in vista di un auspicable confronto con il Governo verso una riforma del “tax credit”, aveva invitato le altre associazioni degli autori e dei produttori indipendenti a condividere una “linea unitaria” per l’elaborazione di un unico testo da presentare nella riunione prevista per il 10 luglio al Ministero della Cultura. “Nei giorni scorsi”, recitava una nota dell’Anac, “era stato fatto circolare da parte della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo un documento di riflessione che contiene alcuni aspetti che se fossero confermati nell’attuale formulazione cancellerebbero gran parte della produzione di cinema indipendente italiano”. L’Anac ha quindi inviato una lettera a 100autori, Wgi, Doc.it, Cna e Agici proponendo loro di costituire un “tavolo” per raccogliere le proposte emendative di tutte le forze del settore. Hanno aderito Cna e Wgi, ma non sembra essere stata raggiunta una “piattaforma comune”.
La riunione di lunedì scorso sembra aver ancora una volta assecondato i poteri forti del sistema.
L’economico che prevale, ancora una volta, sull’artistico.
E nessuna traccia del dibattito su media.
Merita essere citato un trafiletto nella rubrica sul cinema – “Buio in sala” – curata da Fabio Ferzetti su “l’Espresso” (edizione in edicola domenica 9): “tax credit nel mirino. Le nuove regole del tax credit, ancora allo studio, rischiano di far sparire definitivamente le produzioni indipendenti. Lo denuncia l’Anac, Associazione Nazionale Autori Cinematografici, che invita le associazioni di categoria a mobilitarsi. Non gettiamo il bambino con l’acqua sporca”.
Soltanto Andrea Biondi sul confindustriale “Il Sole 24 Ore” ha ripreso l’argomento, con un articolo pubblicato martedì 11 luglio: ricordando l’iniziativa di Agcom, Biondi scrive che “la segnalazione arriva, infatti, nel bel mezzo della riflessione avviata dal ministero della Cultura – il dossier è gestito dalla sottosegretaria Lucia Borgonzoni – sul meccanismo del tax credit. Proprio ieri la sottosegretaria ha incontrato le associazioni sul testo di revisione reso noto una quindicina di giorni fa. Il momento poi è reso particolare dal fatto che il Governo si trova ancora all’interno della finestra consentita per dare alla luce con procedura “semplificata” un decreto correttivo al Testo unico sui servizi media audiovisivi (Tusma). Può farlo entro Natale di quest’anno. Fra le novità suggerite c’è anche la riduzione delle quote di investimento che per obbligo di legge le tv e i servizi di video on demand (da Netflix in giù) devono riservare ai produttori indipendenti. E, in fondo, tutto questo sembra contrapporre il mondo delle tv, che potrebbe ritenersi soddisfatto, a quello dei produttori audiovisivi (che potrebbero ritenersi penalizzati)”.
Sul tema è intervenuto ieri l’altro anche il Presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone: “la nuova proposta di revisione, che è ancora in fase di consultazione pubblica con le categorie, prevede una linea di intervento (Tax credit standard) per le imprese di produzione che operano con continuità nel settore cinematografico e audiovisivo; una linea di intervento specifica per le start-up, con regole semplificate e budget definiti; una linea di intervento distinta per i videoclip, con regole proprie. Andrebbe valutata l’introduzione di un meccanismo per favorire l’utilizzo di talents italiani, come prevedere un beneficio del 30 % su costi sopra la linea relativi a soggetti non italiani e del 40 % per costi relativi a soggetti italiani…”.
Complessivamente permane l’impressione di un’ennesima ondata di neo-liberismo, che allenti le “quote” e rafforzi il “tax credit”. Continua la deriva mercatista del sistema, con lo Stato che si inchina di fronte al Mercato. Con buona pace di una “politica culturale” attiva e magari anche pro-attiva!
Il dibattito su “quote obbligatorie” e “tax credit” resta nebbioso: non pubblico, non documentato
Il dibattito non ci sembra ancora adeguatamente pubblico, plurale, e – soprattutto – basato su dataset affidabili ovvero adeguati al miglior “policy making”.
Non ci sembra aggiunga nulla di significativo su questi temi l’ultima ricerca ovvero la presentazione proposta ieri l’altro martedì 11 luglio in Anica da Andrea Montanino, Chief Economist e Direttore Strategie Settoriali e Impatto Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), intitolata “Le sfide della filiera cineaudiovisiva italiana”…
Ancora una volta… numerologie basate su metodologie non validate e, soprattutto, prive di adeguato spirito critico: iniziative di “studio” che finiscono semplicemente per portare acqua al mulino dell’assetto esistente.
Conservazione ed inerzia.
Una volta ancora emerge il deficit di “evidence-based policy-making”.
“No data”, così nessuno disturba il Manovratore?!
Che pure… manovra nasometricamente ed influenzato dai poteri forti.
Ovvero da quegli stessi beneficiari dello Stato generoso: si ricordino gli 800 milioni di euro l’anno di risorse del Ministero della Cultura destinate a “sostenere” il settore cinematografico e audiovisivo…
Anica ed Apa ringraziano e plaudono. E ringraziano certamente anche Netflix ed Amazon e le multinazionali dell’audiovisivo che approfittano con gusto della manna ministeriale, nella “provincia” italica dei loro imperi.
Mentre la quota del cinema italiano nel “box office” cola a picco…
Clicca qui, per lo “Schema di contratto di servizio tra il Ministero delle imprese e del made in Italy e la Rai-Radiotelevisione Italiana Spa, per il periodo 2023-2028”, trasmesso alla Presidenza della Camera dei Deputati l’11 luglio 2023.
Clicca qui, per la presentazione “Le sfide della filiera cineaudiovisiva italiana”, curata da Andrea Montanino, Chief Economist e Direttore Strategie Settoriali e Impatto Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), Roma, Anica, 11 luglio 2023.
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.
https://www.key4biz.it/politica-culturale-molta-carne-al-fuoco-ma-anche-molte-nebbie/453583/