Cavi sottomarini, crescita economica e geopolitica
Cresce la domanda di infrastrutture di rete in tutto il mondo. La competizione tra potenze economiche e industriali sta portando ad un consumo crescente di dati, soprattutto per l’incremento straordinario dello streaming video e dei servizi cloud, che a sua volta si traduce in nuovi data center e cavi sottomarini.
Dal 2021 al 2025 le grandi aziende tecnologiche americane hanno partecipato alla posa di 220 mila km di cavi sottomarini intercontinentali, il 48% del totale dei nuovi progetti, in aumento del 15% rispetto al quinquennio precedente.
Il posizionamento geografico dei cavi sottomarini influisce anche sull’ubicazioni dei data center. La società statunitense di servizi immobiliari Cushman & Wakefield ha stimato che la Cina rappresenterà il 7% dei ricavi globali dei data center entro il 2028, in calo rispetto al 9% del 2023.
Nello stesso periodo, gli Stati Uniti dovrebbero vedere la loro quota scendere dal 49 al 38%, mentre il Sud-Est asiatico sperimenterà al contrario una crescita dal 9 all’11%, grazie ai nuovi progetti di dispiegamento di cavi.
Avere o meno a disposizione queste infrastrutture di rete significa per un Paese, le sue industrie e il sistema economico in generale, avere la possibilità di pianificare una forte e duratura crescita, creare lavoro, attrarre investimenti, migliorare i livelli di competitività su scala mondiale, ma anche esercitare una certa influenza sui Paesi limitrofi.
Secondo un report pubblicato da TeleGeography, quest’anno si dovrebbero stendere in tutto il mondo 140 mila km di nuovi cavi sottomarini, tre volte il dato relativo a cinque anni fa.
La guerra fredda dei cavi tra USA e Cina
Rispetto al passato, però, nella geografia dell’infrastruttura, la Cina appare più marginalizzata rispetto al passato, con un numero di progetti minore: si attendono solo tre pose di cavi entro il 2024, meno della metà del numero annunciato da Singapore per fare un esempio. Un rallentamento che avrà i suoi inevitabili effetti sulla costruzione di data center nel grande Paese asiatico.
Forse in pieno Oceano Pacifico è in atto la guerra fredda dei cavi sottomarini tra Stati Uniti e Cina, come ha suggerito il Direttore della ricerca di TeleGeography, Alan Mauldin.
Un mese fa a Washington, in occasione dell’incontro tra il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il Primo ministro giapponese, Fumio Kishida, Google ha annunciato il progetto da 1 miliardo di dollari per costruire due cavi sottomarini per collegare Giappone, Guam e Hawaii: “per migliorare l’infrastruttura di rete e le comunicazioni digitali tra Stati Uniti, Giappone e le nazioni insulari nel Pacifico”, in chiave ovviamente di contrasto all’espansione cinese nell’area.
Questo sta limitando enormemente l’accesso cinese a questa rete di cavi così centrale per le telecomunicazioni e il traffico di dati, tanto che entro il 2025 solo tre cavi sottomarini per collegare Hong Kong dovrebbero essere portati a termine, dopo di che non ce ne sono altri in agenda.
Nel complesso, la domanda di traffico dati tra gli Stati Uniti e l’Asia resta forte. Dal prossimo anno, è prevista la posa di quattro cavi verso il Giappone e sette verso Singapore. Nove cavi, inoltre, saranno posati verso Guam, a metà strada tra la terraferma degli Stati Uniti e il sud-est asiatico.
Le aziende statunitensi svolgono un ruolo chiave in questo mercato e stanno facendo di tutto per contenere, marginalizzare ed indebolire l’influenza cinese, ha dichiarato a asia.nikkei.com un funzionario di una società di gestione dei cavi.
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