Giovedì 25 febbraio 2021
L’aereo atterra dolcemente sulla pista. La voce gracchiante del comandante ci dà il benvenuto al Vancouver International Airport. La città è la più grande della Columbia Britannica, in Canada, ma non ne è il capoluogo. Nel distretto urbano conta poco meno di 700.000 abitanti, ma nell’hinterland arrivano a quasi 3 milioni, dei quali il 52% di origine non canadese. Il dato è recente, nel 2017 erano ancora 2 milioni e mezzo, e da poco è stato fatto un censimento, post pandemia.
Mi aggiusto la mascherina di protezione, controllo i guanti di gomma e mantenendomi a distanza regolamentare inizio a uscire dall’aereo con il mio trolley. Anche se in aereo eravamo la metà dei passeggeri, la uscita è sempre lenta. Come scendo dalla scaletta una brezza marina, fresca e salata, mi pervade, suscitando in me un certo appetito. Nell’aeroporto mi misurano la febbre con il termometro laser. Con molta cortesia chiedono che mostri il cellulare. La polizia vuole controllare che abbia installata una delle app obbligatorie per il tracciamento. Se non l’avessi non potrei entrare nel Paese. Superato il primo step. Il controllo passaporti è digitale, ognuno lo fa da sé ponendo la pagina con la foto sul monitor, che la scannerizza e posizionandosi con la faccia di fronte alla telecamera. Click. Secondo step superato.
Uscendo dall’aeroporto una signora, dall’aspetto giapponese, a distanza, mi fa dei cenni con la mano. Non è facile dialogare a distanza in inglese, con una giapponese con la mascherina. A cenni credo di capire che vorrebbe provare se funziona la sua app tracciante, avvicinando i nostri cellulari. Non è una operazione semplice. Potremmo contagiarci a vicenda. Vista la situazione decido di accontentarla e, appena entriamo nel metro dello spazio personale, i due cellulari si accendono e la app ha un sussulto mostrando i dati: ID anonimo, ora, data e luogo dell’incontro. La comunicazione viene registrata nei rispettivi telefoni ma va anche a un server della polizia locale e della compagnia del gestore. Oggi ho incontrato una donna, quella signora giapponese, in aeroporto. Non lo posso più negare, anche volessi. La privacy è andata a puttane ma tant’è.
E’ passato un anno dall’inizio dalla pandemia Covid-19 in Cina, nel febbraio del 2020. Usufruendo della riapertura graduale delle attività imprenditoriali e degli aeroporti di alcune zone del mondo, ho deciso di scrollarmi da dosso la paura e di riprendere i miei viaggi, per segnalare ai lettori come sia, da questo 2021 in poi, viaggiare per il mondo, in quali condizioni avvenga, cosa incontriamo quando vogliamo conoscere un nuovo paese, una nuova città. Ho scelto Vancouver come prima tappa perché è una di quelle città dove avrei voluto vivere. Vancouver è multiculturale, affacciata sull’Oceano Pacifico ma circondata da montagne verdissime, con una superficie coperta per il 10% da parchi e riserve naturali, con un grande rispetto per l’ambiente. E’ sede di produzioni cinematografiche e televisive, una specie di Hollywood canadese, con tutto quello che ne consegue in termini di creatività, sperimentazione, tolleranza, libertà di pensiero e comportamenti. A Vancouver, per capirsi, i matrimoni gay sono legali, così come la vendita di marjuana, solo per adulti e con prescrizione medica. Siccome ormai il cinema e la tv, ma anche la rete, sfruttano moltissimo l’alta tecnologia digitale, Vancouver è anche sede di molte società che producono videogiochi. I quali ormai hanno preso il sopravvento su molti altri passatempi perché permettono di stare in solitudine, senza il rischio di contaminazioni, essendo on line con altri utenti. Una popolazione abituata a muoversi, passare molto tempo fuori di casa, in pratiche salutistiche e sportive, assemblee, conferenze, riunioni, come affronta adesso il post pandemia?
Prendo un’auto a noleggio per una settimana. Il funzionario dell’agenzia è ben protetto con doppia mascherina e protezione di plastica, al di là di un vetro, comunque, che lo preserva da ogni possibile contaminazione. Rifletto sul dato della paura, ingenerata con la diffusione del virus un anno fa, che ci costrinse a lunghe quarantene mentre si susseguivano i morti e i contagi in Cina e poi in Europa e negli Usa. Da allora abbiamo appreso a difenderci. Niente più strette di mano, niente abbracci. Niente cinema e teatro se non dimostri che sei sano. Niente folle allo stadio. Ma anche niente avventure. Niente relazioni occasionali. Il vaccino è arrivato a Natale ma non ha mutato la sensazione di paura che ci pervade. Ci può essere sempre la persona che non si è vaccinata per superficialità, per ignoranza, per colpa. Ci può essere anche il No-vax. Certo. Sembra strano ma non sono spariti i contrari al vaccino. Non so dare loro tutte le colpe perché i vaccini possono causare reazioni diverse nelle persone. Tuttavia non c’è alternativa. Per questo non si può andare a scuola senza dimostrare di essere vaccinati. Non si può esercitare la professione di medico, infermiere, farmacista o di agente delle forze dell’ordine senza essere vaccinati.
Anche questa che, prima dell’epidemia di Covid-19, era considerata una delle città con migliore qualità della vita al mondo, oggi deve fare i conti con la paura di nuove contaminazioni. Lungo l’autostrada che mi porta in città vedo la presenza di polizia, pronta a intervenire per ogni evenienza. Un’evenienza è sorprendere un contagiato nell’area pubblica. Di queste persone ce ne sono ancora. Provengono da altre zone del Paese o dall’estero, sfuggono ai controlli o magari sono infettati “di ritorno”, il virus resiste in determinate condizioni ambientali e si è stabilito che non muore neanche a 60° C. Già nell’aprile del 2020 era successo in Cina, a Wu Han, che vi fossero nuovi contagiati, dopo che si pensava di aver debellato il virus. Così non si deve mai abbassare la guardia.
Attualmente fa freddino, è primo pomeriggio è siamo -2. L’inverno è così a queste latitudini, nonostante le correnti del Pacifico mitighino le temperature gelide del Canada. Vancouver è una delle città con il miglior clima dell’intero paese, migliore di quello di Toronto e Montreal. Per questo numerosi senza tetto l’hanno scelta come loro città elettiva. Tuttavia piove spesso, 165 giorni l’anno ed infatti iniziano a cadere le prime gocce sul parabrezza. Sono arrivato. Alloggio al Fairmont Hotel, un 4 stelle del 1939. A due passi dalla Christ Church Cathedral e alla Vancouver Art Gallery, in pieno centro.
Gastown, il centro storico, viuzze strette e molti bistrot e trattorie aperte. Gastown è l’antico nome di Vancouver, grazie al marinaio Gassy Jack, che qui costruì una taverna, nel 1867, come ristoro per gli operai della Pacific Railway. Ora la ferrovia termina alla Waterfront Station, ottocentesca stazione, che collega questa “finis terrae” con il resto del paese. Da qui, in meno di 4 ore, e 50 $ americani, vai a Seattle, nello stato di Washington. Il confine con gli Stati Uniti è a soli 35 km. Il nome della città lo si deve al navigatore britannico George Vancouver, che scoprì la baia nel 1792. Ai nobili conquistatori britannici deve essere sembrato più onorevole il nome di un navigatore che quello di un marinaio amante del whisky. Il 15% dei 35 milioni di canadesi è di origine scozzese. Feste, danze, cornamuse, kilt a disegni vivaci e sport rudi, con fiumi di whisky e birre, sono all’ordine del giorno in questo giovane Paese. La cosa più antica che vedo nel quartiere è un orologio “a vapore”, ben in vista in un incrocio, tipo orologio a pendolo vittoriano. Solo che “era” a vapore, ora è elettrico, non facciamoci prendere per il naso, noi italiani delle cose davvero vecchie (e anche delle truffe) ce ne intendiamo.
Le insegne cinesi sono molto diffuse. Quando nel 1997 Hong Kong passò sotto il controllo della Cina Popolare, in molti fuggirono, temendo di perdere i privilegi della ex colonia britannica e si trasferirono sulle coste americane. Da allora c’è chi chiama questa città Hong Couver per la quantità di cinesi che vi si sono stabiliti. Ogni anno fanno anche la Regata del Dragone, con 200 squadre che si sfidano con enormi canoe in un percorso di mare. Vada per un riso cantonese e qualche involtino che mi fermano l’appetito. Però meglio non esagerare con questa cucina. Vancouver è una capitale gastronomica con mille cucine di ogni parte del mondo, mi rifarò nei prossimi giorni. Proprio in piena Chinatown trovo il parco cinese e al suo interno il giardino tipico Dr. Sun Yat-Sen, un’oasi in città. Vancouver è così, completamente immersa intorno e nel suo centro di prati, boschi, giardini, oasi verdi. Non puoi sottrarti al ritmo naturale delle cose, l’ansia di altre città moderne qui non è possibile. La bicicletta nelle giornate di primavera ed estate la fa da padrone. Le piste ciclabili vengono abbandonate e tutti invadono le strade, le auto lasciate a casa. In bici si va da soli e la distanza dagli altri è regolamentare. Ora è febbraio ma appena sarà primavera, ogni abitante di Vancouver rispolvererà la vecchia due ruote a pedali. Il giardino cinese intanto mi affascina con i suoi percorsi tortuosi tra rocce e piante, tra colori e ponticelli. Sembra una fiaba, disegnata per il relax quotidiano, soprattutto vicino allo stagno coperto di ninfee, la pagoda, le piante lussureggianti.
Ho scoperto che anche Vancouver ha le sue strade sotterranee, la “underground city”. Sono solo 3 km, poca cosa a confronto con i 30 km di Montreal, ma aiuta a reggere il rigore dei mesi invernali, sfuggire alla pioggia, evitare la schiavitù dell’auto e il costo dei parcheggi. Puoi vivere sottoterra: qui ci sono tutti i servizi di cui hai bisogno. Solo che devi fare la fila per entrare. Non ci si può assembrare nei bar, nei ristoranti e nei supermercati come prima. Ognuno resta a distanza di 2 metri dal vicino, entra, fa quello che deve fare: comprare, mangiare, bere un caffè. I soldi non li usa più nessuno. Si paga con Credit Card nella macchinetta apposita. E’ la macchina stessa che dà il resto. I contatti umani si riducono a vista d’occhio.
Fa impressione vedere le palestre organizzate come tanti box riservati. Dopo ogni uso vengono disinfettati da inservienti avvolti in tute spaziali. Le tavole del ristorante sono occupate da un solo cliente se sono piccole, da due se sono grandi. Difficile vedere più di due commensali per volta. In genere sono parenti o persone tracciate. Entro al bar e mi misurano la febbre in via cautelativa. Mostro la app tracciante. Mi assegnano un posto a un tavolo da solo. Ordino su un monitor il mio caffè. Dopo pochi minuti mi viene servito da una ragazza di cui non vedo il volto e nessuna parte della pelle è esposta. Chiedo alla cameriera se è canadese. No, è spagnola. Era venuta a studiare inglese e ha deciso di restare. Trovare lavoro non è difficile come in Europa. Basta inviare il curriculum e non devi dichiarare età, sesso, religione né mostrare foto. Come mai? Per non favorire la discriminazione. Ti assumono se hai le caratteristiche necessarie: conoscere almeno due lingue, una deve essere l’inglese, se hai esperienze e studi che ti qualifichino per il lavoro che chiedi. Qui vale il merito. Nessuna raccomandazione, nessun aiutino. Gli stipendi sono buoni ma gli affitti in centro carissimi. Bisogna condividere gli appartamenti con amici o conoscenti. Si paga anticipato, almeno tre mesi.
La Vancouver Art Gallery, nella 2nd Avenue, è conosciuta per le opere di artisti locali, mentre il Museo di antropologia espone importanti collezioni delle Prime Nazioni. Le tribù indiane. Una visita era nel mio programma. Si entra mantenendo le distanze e con le misure cautelari personali. Mostro il telefono con la app e la segnalazione che sono sano appare in una finestra del software. Se avessi dei sintomi di raffreddore o di contagio verrei subito portato in isolamento e dalla app del mio cellulare potrebbero riscoprire tutti i miei movimenti delle ultime settimane e anche tutti gli ID incontrati e risalire a tutti i possibili contagiati per colpa mia. Li avviserebbero e li sottoporrebbero a un test, ma non sfuggirebbero comunque alla quarantena di 15 giorni, perché anche il test non è attendibile al 100%. Al Museo grandi totem indiani campeggiano nelle sale e quelli che vedevo al cinema, tutti colorati, fanno bella mostra nelle sale, con tutte le spiegazioni del caso. Si respira un po’ di senso di colpa per aver invaso uno spazio di altri. Il Museo è un atto riparatorio. Almeno questo…
L’arte moderna mi incuriosisce ma raramente ci sono opere che mi attraggono. Qui ne trovo esposte moltissime con temi naturalistici. Si capisce bene quali sono i sentimenti degli artisti di oggi e le loro paure sono le nostre. Nubi minacciose, piante enormi, laghi, acque azzurre, prati, cipressi, tutte le tonalità del verde sono declinabili sulle tele enormi che mi vengono incontro. Un abisso inquietante mi incuriosisce, è diverso dagli stili infantili che prevalgono, novelli aspiranti Gaugin. Il quadro è in stile impressionista, l’autore Sam Siegel, artista canadese immigrato. Costa 1.440 dollari Usa e te lo spediscono a casa, se vivi in Canada o negli Stati Uniti. Sennò provvedi tu. Una passeggiata lungo la Seawall, letteralmente un muro, con una stradina, che costeggia il mare, mi porta a Stanley Park, più che un parco una foresta di 500 ettari. Siamo in città ma in un bosco. Su un lato, ad est, il faro di Brockton Front, sull’altro lato il Prospect Point, con una grande terrazza e vista sulla baia e il porto, il secondo per importanza del Nord America, dopo New York. Con un traghetto attraverso il False Creek per approdare a Granville Island, un’isola artificiale costruita nel 1915 e oggi sede di un grande mercato ortofrutticolo e florovivaistico.
I prodotti ben esposti sui banchi sono bellissimi, tutti di importazione e tutti carissimi Un kg di mele costa 2 €. Un etto di prosciutto spagnolo 55 €. Vicino al mercato trovo una birreria artigianale dove posso godermi un’ottima lager respirando a pieni polmoni l’aria ricca di salsedine. In Canada è proibito vendere alcool a chi ha meno di 19 anni e non si può bere per strada vino o birra. Sono gesti che, ricordo in Irlanda e in Norvegia, non mi piacevano affatto. La sera, riuniti davanti al pub, centinaia di ragazzi con le birre in mano e che bicchieri! Qui non esiste.
C’è invece, manco a dirlo, un altro parco: il Queen Elisabeth. Le antiche miniere sono state riciclate in giardini per chilometri di stradine, immerse nei colori e nel verde, fino al Bloedel Floreal Conservatory il giardino d’inverno botanico, situato nel punto più alto della città, con tutte le specie possibili e immaginabili che conosciamo sul pianeta. Più di 120 uccelli a volo libero e 500 piante e fiori esotici che crescono a temperatura controllata, sotto la cupola della struttura, costruita nel 1969. L’ingresso a musei e giardini ovviamente non ha limitazioni, a parte i controlli all’entrata su mascherine, guanti ecc…
Il giorno seguente con l’auto decido di attraversare The Lions Gate Bridge, una specie di Golden Gate che supera la baia e ti porta vicino alle vette gemelle, The Lions appunto. A 15’ da Vancouver, c’è the Grouse Mountain, dove puoi andare a sciare e la neve c’è abbastanza spesso, visto dove siamo. Sennò a Whistler, a due ore di auto, c’è una vera stazione sciistica con alberghetti, teleferiche, piste professionali, per i più appassionati di discesa libera in solitario. Mi segnalano un luogo per una vista spettacolare. Si chiama The Eye of the Wind, è un osservatorio chiuso, in cima a una enorme pala eolica, dal quale puoi ammirare tutta la città, i parchi, la baia, il porto… tutto. Lascio l’Occhio del vento e mi dirigo al Capilano Suspension Bridge. E’ un ponte sospeso in mezzo agli abeti, lungo 140 metri e a 70 metri dal suolo. Dicono sia l’attrazione più visitata della città. Prima la gente si affollava sul ponte in un andirivieni che lo faceva traballare non poco. Ora si procede in pochi in un senso alternato. Non ci si incrocia più. Siamo in un parco, con fiumi ricchi di salmoni e altri pesci, percorsi per amanti del trekking e prati per il relax ma da maggio a novembre non si può andare per questi luoghi senza avere con sé una bomboletta di aerosol al pepe. Serve per gli orsi. Casomai doveste incontrarne uno, inavvertitamente, e lui dovesse mostrarsi nervoso, una spruzzata sul muso può salvarvi la vita. Sempre che uno non svenga prima.
Decido di prendere l’auto per andare al Science World un centro per lo studio della scienza dedicato agli studenti di ogni età. Alla fine del False Creek trovo l’edificio della Scienza, al 1455 della Quebec Street. Per fortuna Vancouver non è Roma e i parcheggi sono cari (10 dollari canadesi per un’ora) ma, forse per questo, disponibili. Questo palazzotto era servito per l’Expò 86, prima di consegnarlo a Science World. Ora qui si gestiscono programmi di sensibilizzazione scientifica per le classi scolastiche della regione, affinché i ragazzi si appassionino agli argomenti che saranno il nostro futuro. Le scuole sono riaperte da ottobre scorso in Canada ma con molta attenzione ai vaccinati e alle misure di sicurezza. La scienza e lo studio sono ritenuti un impegno fondamentale dello stato per i propri cittadini.
Ovviamente si fa molto più uso della rete e dei collegamenti on line di quanto non si facesse prima. La scuola lo permette e per anche certe attività professionali il tele-lavoro è già molto avanzato, consente di ridurre i costi e i tempi dei trasporti, l’inquinamento atmosferico, quello sonoro, e il consumo di benzina, adesso scesa a un dollaro canadese per litro. Inoltre il governo ha fatto una forte politica di incentivazione all’uso di auto elettriche e a quello del fotovoltaico e altre energie pulite. La consapevolezza dei canadesi è che le epidemie nascono da una cattiva gestione dell’ambiente naturale e da uno sfruttamento perverso delle risorse del pianeta. Per cui è essenziale cambiare strategie produttive e stile di vita, se vogliamo evitare di ricadere in altre situazione di pandemia e di malattie per inquinamento atmosferico. Non a caso Greenpeace è nata qui a Vancouver, nel 1971.
Sarà per la dimensione a misura d’uomo, una città estesa ma con molti parchi e pochi abitanti, con tante vie di fuga nell’ambiente e con tutto che funziona a meraviglia, che Vancouver è così gradita ai suoi abitanti. Qui il tasso di criminalità è molto basso, la paura di essere molestati per motivi di sesso, pelle o religione è quasi inesistente, si è tranquilli e sicuri camminando per le vie del centro e per i viali più periferia a qualsiasi ora del giorno e della notte. I furti in casa sono rari, così come rapine e corruzione. L’unico dato alto ma che non desta troppa preoccupazione è lo spaccio di droga. I dati sono aggiornati all’aprile del 2020, sul sito Numbeo, quasi certamente oggi la pandemia li ha ulteriormente abbassati: è aumentata la tolleranza, la solidarietà tra persone, la disponibilità verso il prossimo. Rispetto all’Italia sembra un paradiso. Per l’ultimo giorno a Vancouver mi concedo una visita all’isola di Vancouver, dove si trova, dal 1868, la piccola capitale della Columbia Britannica, Victoria. Anche in questo i canadesi sono stati intelligenti. Le capitali non devono occupare spazi e ingolfare le città più belle, vanno bene se collocate in piccole cittadine destinate allo scopo. Ministeri, palazzi, uffici ingombrerebbero le vie di città importanti come Amsterdam, Rio de Janeiro, Casablanca, così le capitali sono state spostate a L’Aia, Brasilia, Rabat… cosa che sarebbe stato giusto fare anche con Roma, spostando la capitale a Viterbo, per esempio.
Qui hanno pensato giustamente di non danneggiare la bella Vancouver con questi problemi. Il porto di Vancouver era frequentato ogni mese da crociere dirette in Alaska. Ora c’è un fermo per questo genere di vacanze. Con 700/1000 € si poteva fare una crociera in Alaska per una settimana. Chissà se e quando riprenderanno. Ma non sono solo le crociere ad aver subito un arresto. Anche il traffico pubblico locale. Prima della pandemia si arrivava all’isola di Vancouver, in pochi minuti, con un idrovolante, al costo di 100 dollari canadesi, andata e ritorno. Adesso è preferibile usare un traghetto o, per chi può, un motoscafo taxi. Con un natante a noleggio per pochi passeggeri, non più di sei, si può ancora andare a largo e incontrare le orche e le balene, quando passano da questi lidi. Il viaggio dura tre ore e d’inverno è sconsigliabile ma in estate è un’esperienza unica. Forse ci tornerò, se e quando avremo vinto definitivamente questa battaglia col nostro nemico invisibile.
Reportage. Il mio viaggio a Vancouver alla scoperta del futuro prossimo