Lo scenario elettorale continua ad essere complessivamente sconfortante, se si cerca di trovare una qualche idea concreta e strategica in materia di cultura (e di media e di digitale), come abbiamo ben descritto nel nostro intervento di venerdì scorso su queste colonne (vedi l’edizione della rubrica “ilprincipenudo” curata da IsICult, su “Key4biz” del 16 settembre: “La cultura resta ai margini dell’agenda elettorale, fatto salvo il programma del Pd”).
Negli ultimi giorni, si registrano due sortite rilevanti: ieri domenica, nel raduno a Pontida, il leader della Lega Matteo Salvini ha posto il “tema Canone Rai” (fino ad oggi completamente assente dalla campagna elettorale), non affrontandolo però in modo organico rispetto al ruolo possibile del servizio mediale nel sistema digitale bensì da una prospettiva piuttosto demagogica, ovvero l’abolizione del canone Rai; venerdì scorso, la Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni ha scritto una lettera aperta al quotidiano “Il Corriere della Sera”, che in qualche modo contesta quel “monopolio” che il Partito Democratico rivendica, in materia di politiche culturali, nella campagna elettorale in atto.
Borgonzoni (Lega Salvini): “la cultura è bene non abbia un colore politico”
L’iperattiva Sottosegretaria (che molti danno come probabile futura Ministro della Cultura, in caso di vittoria del centro-destra) contesta le tesi di Filippo del Corno (Responsabile Cultura della Segreteria Nazionale del Pd), che era intervenuto giustappunto sulle colonne del “Corriere”, nell’edizione di venerdì mattina.
La lettera aperta ha un incipit forte: “la cultura è bene non abbia un colore politico, e in questi anni di lavoro al Ministero ho avuto la prova di come si possa collaborare e lavorare in sinergia, pensando sempre prima agli obiettivi concreti per le imprese e gli operatori culturali, rispetto che all’appartenenza di partito”. In sostanza Borgonzoni rivendica un ruolo della cultura “super partes” ovvero “no partisan”. Non velata comunque la critica all’approccio prevalentemente “economicista” del suo Ministro (il Dem Dario Franceschini): “la cultura è identità e i nostri beni culturali sono quel diamante prezioso che rappresentano un giacimento di senso, prima ancora che una leva economica”.
Il lungo intervento della Sottosegretaria tratteggia alcune linee-guida finora inedite di un “programma elettorale” della Lega finora inedite: “abbiamo scelto, come Lega, di basare il nostro progetto culturale su 3 parole. Bellezza, Identità e Verità. Bellezza che ispira il nostro approccio all’ambiente e al paesaggio, un tema che richiama tutte le generazioni poiché l’ambiente è la nostra casa e tutelarla dovrà essere la nostra priorità. Identità, che ispira il nostro approccio alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio e della nostra storia. Verità, una parola così abusata in questa infuocata campagna elettorale, per noi valore essenziale per raccontare la cultura al Paese”.
Sostiene Borgonzoni che “la Cultura è, quindi, una nostra priorità, come Lega e come Ministero, se avrò ancora l’onore e il privilegio di esserne rappresentante, ma anche per tutte le forze politiche, di utilizzare parte delle nostre energie per saper attrarre i giovani e renderli portavoce della nostra cultura nel mondo”.
Batte sul tasto della formazione dei giovani: “renderli curiosi di scoprire le meraviglie del nostro Paese, di studiarle ed appassionarsi alle arti che qui in Italia hanno visto la loro più grande fioritura, il teatro, la musica, la danza, la letteratura, il cinema e la pittura”. Tra le varie tesi: “incrementare i fondi sul contemporaneo (arte, architettura, design…), permettendo alla Direzione Generale della Creatività Contemporanea del Mic di poter gestire linee di finanziamento specifiche. Sviluppare reti di borghi, in collaborazione con altri Ministeri, perché diventino luoghi vivibili per l’insediamento delle ‘imprese creative’ quali laboratori/incubatori per lo sviluppo di imprese legate all’artigianato artistico e tradizionale e alle nuove tecnologie come il gaming o l’animazione. Borghi quali mete attrattive per i nomadi digitali e per l’interscambio culturale tra creativi…”.
Insiste sulla formazione, la Sottosegretaria, che peraltro è stata nel corso degli anni sostenitrice convinta dei progetti “Cinema e Immagini per la Scuola” (alias “Cips”) promossi congiuntamente dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Istruzione (basati su norme volute rispettivamente da Matteo Renzi – la cosiddetta “Buona Scuola” – e da Dario Franceschini – a partire dalla “Legge Cinema” del 2016 che reca il suo nome). In argomento, si segnala che è imminente la pubblicazione dei risultati dei bandi “territoriali” che coinvolgeranno centinaia di scuole in tutta Italia in variegate attività di promozione dell’educazione all’immagine audiovisiva, all’interno di un piano di finanziamento assai consistente per l’anno scolastico 2022-2023, ovvero circa 55 milioni di euro (vedi “Key4biz” del 4 marzo 2022, “‘Cinema e immagini per la scuola’ (Cips): dal 14 marzo i bandi, budget di ben 54 milioni”)
Senza dubbio apprezzabile questa sortita della Sottosegretaria, ma ci si domanda quanto questa sua appassionata teorizzazione sia condivisa nel profondo del pensiero leghista: sia consentito osservare – per esempio – che nelle oltre 200 pagine del libro curato da Giuseppe Valditara e Alessandro Amadori (ricercatore partner dell’Istituto Piepoli), “è L’Italia che vogliamo”, che reca come sottotitolo “Il manifesto della Lega per governare il Paese” (edito da Piemme), con prefazione di Matteo Salvini (e presentato a Venezia il 6 settembre scorso), l’attenzione dedicata alla cultura è sostanzialmente assente (fatto salvo un qualche cenno alla “identità culturale di territorio”; c’è invece un paragrafo dedicato ad “Università, ricerca, innovazione” ed a “Scuola e formazione”)… Si ricorda che Valditara, ex senatore di Alleanza Nazionale, viene ritenuto uno dei consiglieri più ascoltati da Salvini (alcuni lo definiscono addirittura “il nuovo ideologo della Lega”, anzi… “il Guru”): è candidato “new entry” della Lega nel collegio Como-Varese, ed è anche il coordinatore di “Lettera 150”, un “think-tank” di accademici di area centrodestra ovvero liberal-conservatore-federalista-sovranista (tra parentesi, cercando la formula “politica culturale” nel motore di ricerca del sito del think-tank, non emerge nessun risultato).
Domani a Roma incontro elettorale del centrodestra sulla cultura, promosso da “CulturaIdentità” di Edoardo Sylos Labini
Qualche segnale di vitalità, nel centro-destra, si registra, come scriveva venerdì scorso Marianna Rizzini sul quotidiano “il Foglio”, dando notizia dell’evento elettorale di domani martedì 20 settembre a Roma, promosso da Edoardo Sylos Labini, direttore della rivista “CulturaIdentità”, intitolato “Liberiamo la cultura”, come l’appello pubblicato questa mattina sul sito della testata (che è anche una sorta di movimento politico che opera nell’ambito di Forza Italia). Si legge nell’appello: “In questi ultimi anni la cultura italiana è rimasta schiacciata tra la mancanza di una visione strategica che valorizzasse l’intero settore come pilastro creativo e produttivo e un sistema di occupazione degli spazi istituzionali e creativi dettato troppo spesso solo da logiche di potere e discriminazioni ideologiche. Una vecchia e superata pretesa di “egemonia culturale” oggi è solo lo strumento di una minoranza per ottenere potere e mettere all’indice qualsiasi visione alternativa, riducendo gli spazi di crescita di nuove generazioni di artisti e imprenditori, livellando l’offerta ed uccidendo la libertà”.
Si ribatte, anche in questo caso, su una tesi cara alla destra, ovvero la presunta “egemonia” (intesa gramscianamente) della sinistra sul sistema culturale italiano.
Queste le istanze di CulturaIdentità: “per questo chiediamo al nuovo Governo che s’insedierà di impegnarsi a “Liberare la Cultura”. Un Governo che, forte finalmente di una legittimità popolare, s’impegni nel settore culturale per valorizzarlo e supportarlo come merita, per liberare nuove energie creative e produttive, per proteggere il valore dell’industria italiana dallo strapotere delle multinazionali, per rispettare il pluralismo delle idee e delle visioni che compongono il fertile immaginario italiano; chiediamo alla politica di considerare la cultura un valore e non uno spazio di occupazione clientelare”.
Sostiene Umberto Croppi, ex Assessore alla Cultura nella giunta guidata da Alemanno, oggi Presidente di Federculture e della Fondazione La Quadriennale di Roma, che, dopo aver messo a confronto i programmi dei vari partiti sul tema “cultura, “grandi differenze non ce ne sono”.
In verità, leggendo con attenzione l’analisi che abbiamo proposto su queste colonne, emerge senza dubbio – oggettivamente – una corposità e chiarezza del programma del Partito Democratico, una qual certa effervescenza del programma di Azione, una discreta genericità del programma della Alleanza per il centrodestra, ovvero Fratelli d’Italia + Lega + Forza Italia + altri partner centristi (vedi anche, rispetto a quest’ultima – ovvero rispetto al programma intitolato “Accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra” – il nostro articolo del 12 agosto 2022, su queste colonne: “Poca attenzione alla cultura e nessuna al digitale nel programma del centro-destra”).
Sarà interessante osservare se dalla kermesse di domani a Roma, il centrodestra saprà esprimere una idea organica e strategica di “politica culturale”. Finora, ci sembra siano emersi soltanto interventi estemporanei e… “last minute”.
La demagogia dell’abolizione del canone Rai, ovvero “cronaca di una morte annunciata” per il servizio pubblico radiotelevisivo?
Meeting di Pontida, ieri domenica: “Zero canone Rai. Si può fare, lo fanno altri dieci Paesi. Per un pensionato e un disoccupato 90 euro significa fare la spesa tre volte in più. Penso che possiamo permetterci di azzerare il canone per aiutare qualche italiano a mangiare di più. Siete d’accordo?”. I suoi elettori esultano. “Allora approvato dal Consiglio dei Ministri informale!”, dichiara Salvini.
Tutto il testo viene firmato sul palco con i governatori. Sono i 6 temi-chiave della Lega stampati sul cartellone azzurro, sotto lo slogan “Io ci credo”, ovvero i “sacri impegni per cambiare l’Italia non negoziabili”: “autonomia”, “stop al caro bollette”, “abolizione della legge Fornero e sì a quota 41”, “basta sbarchi”, “flat tax al 15 %”, “giustizia giusta”…
Più precisamente, queste le tesi del leader del Carroccio: “da qualche anno, per idea di quel genio di Renzi, sulla bolletta si paga una tassa in più ogni mese, il canone Rai. Ci siamo andati a studiare come funziona in tanti Paesi europei, e siccome in 10 Paesi dell’Ue il canone per la tv pubblica non esiste e non è pagato dai cittadini, come Lega ci prendiamo questo impegno: dall’anno prossimo zero canone in bolletta e la televisione pubblica come in altri paesi fa servizio pubblico campando di pubblicità, profitti e ascolti. Zero canone Rai, si può, lo fanno 10 Paesi“. Così il Segretario, intervenendo dal palco di Pontida. “Io penso che possiamo permetterci di azzerare il canone Rai per aiutare qualche italiano in più. La Rai è un patrimonio di cultura che ci sta a cuore, ma penso che possa anche tirare un po’ la cinghia e tagliare un po’ di sprechi, e penso che possa andare avanti lo stesso… È arrivato il momento di abolire il canone. Come Lega ci prendiamo questo impegno: dall’anno prossimo, zero canone Rai”. La questione verrà posta all’ordine del giorno del primo Consiglio dei Ministri a guida centrodestra…
Salvini: abolire il canone, efficientare la Rai, alimentarla con più pubblicità
Che il tema “canone” sia ritenuto da Matteo Salvini un cavallo di battaglia è confermato dal suo tornare sull’argomento, ieri sera a “ZonaBianca” su Rete4 (talkshow condotto dal giornalista Giuseppe Brindisi): “siccome si parla di Europa, dobbiamo copiare l’Europa, cosa fa l’Europa: io dico, noi siamo su Mediaset. Mediaset non chiede il canone a chi è a casa. Ci sono 10 Paesi in Europa che non fanno pagare il canone per la tv e la radio pubblica. È vero che sono solo 90 euro, però quel genio di Renzi li ha messi nella bolletta della luce e in un momento già drammatico per le bollette, anche quei 90 euro per alcune famiglie fanno la differenza. Quindi vanno fatti due ragionamenti: il primo, perché 10 Paesi europei non fanno pagare il canone per la televisione pubblica? E il secondo, perché la Rai incassa 700 milioni di euro di pubblicità, ma fa pagare lo stesso il canone e Mediaset che fa lo stesso servizio non fa pagare il canone? Chi sceglie la Lega, sceglie che la televisione pubblica possa raccogliere soldi in pubblicità, possa tagliare un po’ di sprechi e non gravi più sulle bollette della luce dei cittadini italiani”.
Questa mattina una nota della Lega (diramata dalle agenzie stampe) recita: “via il canone Rai dalle bollette della luce degli italiani. In un momento drammatico come questo, è necessario garantire interventi immediati a famiglie e imprese e, dall’altra, ragionare sulla tv di Stato tagliando sprechi, maxi stipendi e incrementando la pubblicità. È un modello già seguito da altri Paesi europei, sono incomprensibili alcune reazioni scomposte delle ultime ore. Chi si oppone all’efficientamento della Rai ha interessi da tutelare?”.
Da questo documento ufficiale della Lega, si teorizza una tv pubblica finanziata addirittura da un incrementato flusso pubblicitario: da non crederci.
Rispetto alla “abolizione del canone”, non si tratta certo di tesi nuove, come ricorda il sempre acuto sito specialistico “BloggoRai”, che riproduce questa mattina un post di Matteo Salvini datato 21 novembre 2014, assai esplicito: “Il canone Rai da pagare con la bolletta della luce??? Un furto, contro cui la Lega si batterà con ogni mezzo”. Ricorda il Redattore Anonimo di BloggoRai: “Salvini era ed è forse ancora in buona compagnia: “Abolire il canone Rai”, la prima mossa del Pd” e precisa Matteo Orfini (ex presidente Pd) “Per la cronaca, la fiscalizzazione del #canoneRai è una nostra proposta storica” (Repubblica.it del gennaio 2018)”. Nel gennaio 2018, si registrò in effetti un duro scontro tra Renzi e Carlo Calenda, proprio a proposito del canone Rai, allorquando si prospettò una “promessa” di abolizione: sostenne allora l’attuale leader di Azione (alleato di Renzi): “(1.) il Governo Renzi ha messo il canone in bolletta e non può promettere in campagna elettorale il contrario di quel che si è fatto al Governo; (2.) se si vuole affrontare la questione del canone, allora si ragioni su privatizzazione Rai, altrimenti è una presa in giro”. Corsi e ricorsi…
E pochi ricordano che ormai oltre un decennio fa, nel dicembre del 2012, l’europarlamentare della Lega Mara Bizzotto ha depositato una petizione, supportata da migliaia di firme, per l’abolizione del canone Rai, iniziativa che chiedeva al Parlamento Europeo l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia. Esisteva peraltro (ed esiste ancora) anche un “Comitato per la Libera Informazione Radio Televisiva” (Clirt).
Dopo la sortita di ieri del leader del Carroccio, non si registrano oggi particolari reazioni, se non quella del Consigliere di Amministrazione indipendente, ovvero “in quota” dipendenti Rai, Riccardo Laganà, che ha ironicamente commentato: “chissà cosa pensano amministratori, dirigenti, ‘in quota’; e schiere di questuanti vari riguardo tali affermazioni. Perché, appena varcano la porta di Viale Mazzini è tutto un profluvio sull’essenzialità del servizio pubblico, quando poi, più o meno di nascosto, battono forti le mani….
Si ricordi anche che, su fronte altro, Beppe Grillo, anni fa, propose la riduzione del canone a 30 euro, con 1 canale soltanto di servizio pubblico Rai…
A fine novembre 2018, nel blog del fondatore del Movimento 5 Stelle, venne anche annunciato lo “Stop alla pubblicità e ai programmi di cucina”, ovvero “a far data dalla pubblicazione dello presente editto si divieta di pagar lo canone della tv pubblica, sinché la stessa non sia privata della pubblicità, delli programmi di cucina e di ricette e di tutte le stupidità”. Dopo quello sull’acqua pubblica, il blog di Beppe Grillo pubblicò il secondo editto del “Re” del vignettista Davide Charlie Ceccon, dedicato appunto alla tv pubblica…
E che non si trattasse di battute soltanto venne confermato a distanza di un anno: il 15 novembre 2019 fu resa nota una proposta di legge più volte annunciata dalla parlamentare del M5s Maria Laura Paxia (vedi “Key4biz” del 15 novembre 2019, “Abolizione canone Rai: pubblicata la proposta di legge di Maria Laura Paxia (M5S)”).
Il canone, nelle intenzioni di Paxia, sarebbe stato sostituito “con un gettito derivante fino al 40 % dall’imposta sui servizi digitali, fino al 20 % da una tassa sui ricavi delle emittenti radiofoniche e televisive diverse dalla Rai e fino ad un 10 % da una tassa sui ricavi delle emittenti a pagamento, anche analogiche”.
E peraltro qualche mese prima, a fine luglio 2019, lo stesso Ministro Luigi Di Maio aveva dichiarato: “lavoriamo per abolire il canone Rai. Tra pochi minuti, avremo qui al Mise una riunione sul canone Rai, perché vogliamo abolirlo e stiamo trovando la soluzione tecnicamente migliore”.
Da segnalare che l’iter della proposta di legge Paxia non è mai iniziato, ma nell’aprile del 2022 il Governo ha approvato un “ordine del giorno” presentato dalla stessa Paxia (intanto passata al Gruppo Misto), al decreto “Energia”: accettato dal Governo – portato in Aula da Vannia Gava, Sottosegretaria per la Transizione Ecologica – come “raccomandazione”, è stato poi accolto con riformulazione, cioè senza dover essere posto ai voti. L’odg prevedeva di “adottare misure normative dirette a scorporare dal 2023 il Canone Rai”. In quell’occasione, Paxia ha sottolineato che così si dà finalmente “seguito all’impegno che l’Italia aveva con l’Ue europea di scorporare il canone Rai” in quanto “onere improprio”. Si segnala che Paxia non è stata ricandidata alle elezioni politiche imminenti.
Si ricordi che il partito guidato da Matteo Renzi è stato il fautore della riduzione del canone, dai 113,50 euro del 2015 ai 100 euro del 2016 agli attuali 90 euro. Annunciò nel novembre del 2019 il parlamentare Michele Anzaldi di Italia Viva: “andiamo avanti con il taglio: nel 2020 paghiamo 80 euro, nel 2021 paghiamo 70 euro, e così via. Finché la Rai non ristabilirà un’informazione davvero corretta, tagliamo 10 euro all’anno di canone”.
Si segnala che nemmeno Michele Anzaldi è stato ricandidato alle elezioni politiche del 25 settembre. Ma è, insieme a Laganà, l’unico a reagire alla sortita di Salvini, come segnala l’accurato sito web “VigilanzaTv” nell’articolo odierno a firma di Marco Zonetti, intitolato “Rai, Anzaldi: ‘Salvini vuole azzerare il canone? Lui e Conte hanno lottizzato tutto”: “Azzerare il canone Rai come dice Salvini? Significa andare verso l’Italexit, far diventare l’Italia primo Paese europeo senza servizio pubblico radiotv, con l’informazione in mano solo alle tv private. La Rai deve rispettare il Contratto di Servizio ed eliminare gli sprechi… La Lega è al governo della Rai da 5 anni, prima con Foa presidente e ora con Fuortes che ha dato alla destra 5 direttori su 8 (Tg2, Isoradio, Tgr, Rainews, Rai Parlamento) oltre a innumerevoli assunzioni esterne: in questi anni Salvini e Conte hanno lottizzato di tutto”…
Sull’argomento è intervenuto anche il sindacato dei giornalisti Rai, che ha replicato ieri sera: “senza canone Rai, ogni famiglia risparmierebbe 24 centesimi al giorno. La Lega di Salvini che vorrebbe abolirlo e non solo toglierlo dalla bolletta, chiarisca agli italiani anche cosa perderebbero in termini di servizio pubblico senza 14 canali televisivi, 13 radiofonici, i tg e gr nazionali e regionali, i siti di informazione, le piattaforme digitali, un centro ricerche per le telecomunicazioni e un’orchestra sinfonica nazionale”. Precisa Usigrai: “un servizio pubblico non vive di pubblicità, come fanno invece le tv commerciali. Semmai sono gli spot che andrebbero aboliti a fronte di risorse certe e adeguate. Se poi la Rai viene ritenuta, a stagioni alterne, di destra o di sinistra, siano i partiti a liberarla, riformando subito la legge di nomina dei vertici dell’azienda, che oggi mette in mano alla maggioranza e al governo di turno la redini della Rai; invece di usarla solo per fare propaganda elettorale”…
In sintesi: Salvini spara la tesi dell’abolizione del canone, e nessuno reagisce, se non un consigliere di amministrazione Rai indipendente, un parlamentare di Italia Viva che non siederà nel prossimo Parlamento, ed il sindacato dei giornalisti Rai…
Anche questa assenza di reazioni è sintomatica della deriva del pensiero politico italiano sul servizio pubblico mediale.
È comunque verosimile che dal 2023 il canone Rai scompaia effettivamente dalla bolletta elettrica, come peraltro richiesto all’Italia dalla stessa Commissione Europea. Alcuni ipotizzano una sorta di integrazione ovvero di affiancamento del canone Rai al bollo di circolazione delle auto, passando questa tassa a una gestione locale, con le Regioni come protagoniste o semplicemente incaricate alla riscossione (sull’argomento, avevamo intercettato segnali: vedi “Key4biz” del 9 agosto 2022, “Rai, la proposta: “Regionalizzarla insieme al canone”. Di cosa si tratta?”). Altra strada percorribile potrebbe essere il classico “modello 730”…
Quel che è sicuro è che nessuno, durante la campagna elettorale, si è posto seriamente la “questione Rai”, ovvero del ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo come strumento di democrazia della comunicazione, di pluralismo informativo, di coesione sociale…
Totale deserto di idee, da molto tempo, sui futuri possibili del servizio pubblico mediale in Italia.
https://www.key4biz.it/salvini-rilancia-labolizione-del-canone-rai%ef%bf%bc/416324/