Manca poco più di un anno alle elezioni presidenziali americane, che si terranno il 5 novembre 2024. È ancora molto presto per individuare le linee di tendenza che determineranno gli esiti del prossimo ciclo elettorale, ma l’unica certezza a cui andiamo incontro è quella che ci sarà più di una sorpresa. Non potrebbe essere diversamente, perché stiamo entrando in una fase di accelerazione del cambiamento che promette di non lasciare nulla come prima.
Cosa insegnano le precedenti corse alla Casa Bianca
A costo di correre qualche rischio in più, se si analizzano le campagne presidenziali dall’elezione del Presidente Richard Nixon ad oggi e confrontando i metadati che emergono dai sondaggi pubblicati nelle ultime settimane si iniziano a delineare alcune tendenze di fondo:
- è difficile che si vada verso una riedizione del duello fra Joe Biden e Donald Trump,
- al centro della campagna elettorale ci saranno nuove sfide mai affrontate prima d’ora, dall’intelligenza artificiale, alla regolamentazione delle criptovalute, all’agenda delle autorità antitrust americane nel rivedere le posizioni di monopolio nei mercati in cui operano le big tech, che si affiancheranno ai temi più urgenti nel percepito comune che vanno dall’immigrazione alla transizione energetica,
- e che sono destinate a sortire, come effetto derivato, quello di polarizzare l’elettorato americano, che potrebbe finire con lo spaccare il Paese in due.
Cosa dovrà affrontare il prossimo presidente USA?
Immediatamente a valle delle elezioni presidenziali americane, chiunque si troverà a gennaio 2025 nella posizione di Presidente in carica, poco importa se democratico o repubblicano, si troverà di fronte sfide monumentali, forse le più importanti dall’inizio del secolo scorso: l’evoluzione multiforme dell’intelligenza artificiale apre nuovi fronti e pone problemi che mai si erano presentati in passato e l’accelerazione del cambiamento metterà a rischio più di un settore, perché si dovranno fare i conti con una transizione non facile che ha già superato da tempo il punto di non ritorno (tipping point). Non solo economia, innovazione e cambiamento climatico: la geopolitica torna definitivamente al centro del confronto competitivo fra sistemi-Paese, con nuovi “attori” all’orizzonte in grado di generare tensioni difficili da anticipare ed in grado di generare conflitti asimmetrici.
È sempre più probabile che il futuro Presidente dovrà avviare una progressiva “de-escalation” del conflitto fra Ucraina e Russia, si troverà affrontare il tema non nuovo della proliferazione nucleare, e dovrà concentrare risorse e focus sulla competizione con la Cina che per la prima volta si sposterà sul fronte della conquista dello aerospazio, con una rincorsa agli investimenti che è destinata a mobilitare risorse ed intelligenze senza precedenti, più di quanto sia avvenuto in passato con il Progetto Manhattan o con la NASA ed il programma Apollo. Non ci si deve aspettare che la posizione di Washington nei confronti di Xi Ji Ping sia destinata a cambiare di molto: è stato così anche per la presidenza di Joe Biden, che di fatto ha agito in continuità con le linee guida adottate da Donald Trump.
Tre scenari all’orizzonte
Al momento, si sta lavorando su tre differenti scenari, che, come tutti gli scenari, sono destinati a modificarsi nel tempo, a partire già dalle prossime settimane. Il primo è quello di una riedizione del 2020 con il duello fra Joe Biden e Donald Trump, che abbiamo definito come “Freezing the Status-Quo”. Il secondo prevede un passo indietro di Joe Biden a favore di un nuovo candidato, a poche settimane dalla Convention del Partito Democratico (in programma ad agosto 2024 a Chicago), con i Repubblicani che si presenteranno ancora una volta con Donald Trump, scenario che abbiamo definito come “Evolutionary Change”. Ed infine il terzo scenario, che prevede che il 5 Novembre 2024 si troveranno a confrontarsi due candidati nuovi, con Joe Biden e Donald Trump fuori dai giochi. E per questo motivo abbiamo adottato la definizione di “Revolutionary Change”.
Se stiamo alla prime indicazioni sulla base dei dati ad oggi disponibili, il secondo scenario è quello che potrebbe rivelarsi il più probabile anche perché va incontro alle necessità di mercati ed investitori di vedere progressivamente ridotta la volatilità, che dovrebbe accompagnarsi ad una riduzione dei tassi di interesse da parte della FED a partire dal 2025. È in questo secondo scenario che emerge la vera, nuova sorpresa: un passo indietro di Joe Biden potrebbe portare il Governatore della California, Gavin Newson (già sindaco della citta di San Francisco) ad essere il candidato dei Democratici alla Casa Bianca.
E intanto si guarda ai nomi alternativi
I segnali deboli ci sono, e ci sono anche precedenti illustri, come nel caso del Presidente Ronald Reagan, che fu Governatore della California per due mandati: nelle prossime settimane si vedrà e si capirà meglio, ma è certo che Gavin Newson ha davanti a sé tutte le condizioni per entrare in partita. Se stiamo ai dati, le statistiche parlano chiaro: indicano che 17 dei 45 Presidenti eletti (ovvero il 38%) e 16 dei 49 Vicepresidenti (il 33%) provenivano dalle file dei governatori: e su un totale di 59 “nomination” nella storia delle presidenziali americane, 55 sono state appannaggio dei governatori.
Gavin Newson è alla guida di uno stato come la California che si collocherebbe a tutto diritto all’interno del G7 come quinta economia al mondo con un PIL di 3,7 trillion US$, ad un’incollatura dalla Germania (4,08 trillion US$), dietro solo a Cina e Giappone: l’Italia per farsi un’idea delle proporzioni ha un PIL di 2.025 trillion US$ e la Francia di 2,8 trillion US$.
In California ci sono le aziende di punta del settore big tech, che rappresentano sempre di più una larga fetta della capitalizzazione di Wall Street, con le “Fab 7”, le “fantastiche 7” (Apple, Microsoft, NVIDIA, Amazon, Meta, Tesla, Alphabet/Google), che si trovano al centro delle sfide legate al ruolo pervasivo dell’intelligenza artificiale: l’esperienza acquisita in questi anni nel dialogo con le big tech e l’agenda concentrata sulla transizione energetica, che fanno della California uno dei contesti più avanzati al mondo, pongono Gary Newson in una posizione invidiabile in termini di esperienza nella gestione di sfide complesse.
Non ultimo, un dato da non sottovalutare: l’età di 55 anni lo pone sotto il profilo anagrafico in vantaggio rispetto ai due presidenti che lo hanno preceduto, ovvero Donald Trump che oggi ha 77 anni e che concluderebbe il prossimo mandato da Presidente ad 82 anni, e Joe Biden che già oggi ne ha 80. Forse non è un caso che la “mediana” dell’età dei presidenti americani, quando entrarono in carica, è esattamente 55 anni, ovvero l’età del Governatore della California.
Le orazioni funebri designano i nuovi Presidenti USA?
Infine, un punto che di per sé forse non vorrà dire molto, ma che presenta un possibile parallelismo storico che è bene non sottovalutare. Sarà interessante vedere se nei prossimi giorni Gavin Newson sarà chiamato a tenere l’orazione funebre in onore della senatrice democratica della California Dianne Feinstein (anche lei in passato già sindaco di San Francisco), scomparsa sabato scorso all’età di 90 anni, una delle personalità di riferimento della politica americana. Forse è solo una coincidenza, ma ricorda da vicino l’orazione funebre che un giovane, “junior senator” dell’Illinois tenne ai funerali di Rosa Parks a Detroit il 2 novembre 2005: quel “junior senator” era Barack Obama eletto solo qualche mese prima (il 3 gennaio) al Senato degli Stati Uniti. Quel giorno e quel discorso lo ricordano in molti perché proiettò Obama da Chicago alla Casa Bianca, solo due anni dopo nel 2007.
Trump-Newson: un duello appassionante
È ancora presto per dire come si arriverà al 5 novembre del prossimo anno, ma di una sola cosa si può stare certi: le sorprese non mancheranno. Il duello fra Gavin Newson e l’ex presidente Donald Trump è una sfida appassionante che mette in gioco due diverse concezioni del mondo, in una fase dove le uniche certezze sono la velocità e la direzione del cambiamento. Indietro non si torna e gli Stati Uniti hanno dimostrato già in passato che non ci sono sfide con cui non ci si possa misurare. Quello che è certo è che dopo il 5 novembre 2024 nulla sarà come prima: sarebbe opportuno che anche qui da noi in Europa si iniziasse a tenerne conto, perché con quella data si entra in una nuova era. Non ci sono più alibi, né tempo per ritardare il momento delle decisioni.
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