Trump e i due millimetri che avrebbero potuto cambiare il senso della storia

  ICT, Rassegna Stampa
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Due millimetri. Una distanza impercettibile all’occhio umano che avrebbe potuto cambiare il senso della storia. Sarebbe bastato un battito d’ali di farfalla per determinare la morte di Donald Trump e un futuro diverso per gli Stati Uniti, come per il Medio Oriente e l’Ucraina. Invece il caos che domina l’universo ci ha consegnato una foto che è già nella storia dell’umanità: il prossimo presidente degli Stati Uniti, sanguinante, che sotto la bandiera americana alza il pugno al cielo urlando “fight” al suo popolo. Neanche nel più grande film di propaganda hollywoodiana si sarebbe potuto immaginare tanto. E invece è accaduto davvero.

Una delle peggiori campagne elettorali della storia americana, fra due ottuagenari attaccati alla scranno e con poca visione per un’America ancora protagonista nel mondo, si è improvvisamente trasformata nella più grande delle storie che solo l’America sa raccontare al resto del pianeta. Se fino a qualche giorno fa Donald Trump sembrava in lieve vantaggio su Joe Biden, il cui corpo continua ad essere esposto in sacrificio dalla famiglia e dal suo staff come una sorta di simulacro, oggi la rielezione del Tycoon newyorkese è quasi certa.

Non ci sarà Kamala Harris che tenga, ammesso che ormai un cambio all’ultimo abbia senso. Il Partito Democratico ha indugiato troppo, a cominciare dal suo leader in pectore Barack Obama che ha difeso fino all’insostenibile la candidatura del suo amico Joe. I vertici democratici hanno voluto nascondere la polvere sotto al tappeto per troppo tempo, e adesso quel tempo è scaduto. La storia ha inaspettatamente consegnato al popolo americano il suo prossimo leader, che ancora sanguinante dopo un attentato incita il suo popolo a combattere. Un’immagine iconica che nessun candidato democratico potrà sconfiggere e in così poco tempo.

La distanza che si era creata fra il corpo, e la mente, martoriati dal passare del tempo dell’attuale inquilino della Casa Bianca e il suo sfidante è ormai diventata incolmabile. Prima dell’attentato Trump aveva sfidato Biden a una partita di golf per dimostrare la propria superiorità psicofisica. Adesso è evidente che non ce ne sarà più bisogno: ha dimostrato di essere sopravvissuto a un proiettile, è cascato, si è rialzato pronto a combattere. Irraggiungibile di fronte a un avversario che fatica a scendere il gradino del podio dove pronuncia un discorso pieno di gaffe.

Gli americani sono per indole e demografia un popolo giovane e violento, non a caso l’attentato a Donald Trump è solo l’ultimo di una lunga serie. L’immagine di un leader forte, che combatte sotto la bandiera a stelle e strisce, è proprio quello che stava cercando un popolo comunque smarrito e lacerato al proprio interno. Il dominio globale dell’impero americano ha messo a dura prova la sua classe media, costretta a subire la delocalizzazione della propria industria a favore delle colonie sotto il controllo Usa. L’assalto a Capitol Hill dopo l’elezione di Joe Biden è l’immagine del malcontento che si agita e cresce pericolosamente nel tessuto sociale americano. Che comprende sempre centocinquanta milioni di persone armate fino ai denti pronte a spararsi a vicenda.

Oggi la figura dell’uomo forte al comando, che si erge a uomo della provvidenza per riunire tutto il popolo americano sotto un’unica bandiera, potrebbe essere quello che un’America smarrita andava cercando. In una fase di transizione che potrebbe permettere ai due grandi partiti americani di rimettersi in sesto e trovare due candidati all’altezza della superpotenza che rappresentano alla fine del secondo mandato di Donald Trump. Una bella sfida per la nazione leader del mondo libero, nata da una campagna elettorale che la stava mettendo in imbarazzo agli occhi del pianeta e che, per un butterfly effecet, potrebbe riporla alla guida della leadership mondiale.

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