Un intervallo alla propaganda europeista (vol. 3): L’Unione ha bollito la Repubblica (per gradi)

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Una delle strategie più note – nell’ambito di quelle utilizzate per condurre, manipolare e “orientare” le masse è quella della “rana bollita” teorizzata e divulgata da Noam Chomsky: si butta un ranocchio in una pentola d’acqua e si alza la temperatura un grado alla volta così da bollirlo senza che il malcapitato abbia il tempo di accorgersene e, soprattutto, di reagire.

Per capire come tale trappola sia stata impiegata nel cammino verso l’Unione europea, ripensiamo prima a come questa tecnica sia diffusissima e a quante volte rischiamo di esserne vittime in prima persona durante il percorso della crescita. Mano a mano che diventiamo grandi tendiamo ad assorbire sempre più le regole, gli schemi, i pregiudizi, i valori, le “favole” con le quali ci “formano” – a fin di bene, si intende – le agenzie di socializzazione dove veniamo mandati per imparare a stare al mondo: la scuola, la chiesa, l’università, l’azienda e qualsiasi altra agenzia di socializzazione. Un po’ alla volta, il nostro cervello tende a irrigidirsi, a usare scorciatoie di pensiero (nel gergo della psicologia, si parla di “euristiche”) e quindi a essere più malleabile e meno elastico. Insomma, finiamo per ragionare sempre meno con la nostra testa e, parallelamente, cominciamo a subire un trattamento ipnotico via via più intenso. I media, la TV, internet, i social, le riviste, gli spettacoli, gli eventi sportivi diventano sempre più centrali nella nostra vita. Passiamo gran parte del tempo a lavorare e stressarci e, il poco che ci resta, lo dedichiamo a rilassarci. Dove “rilassarci” spesso coincide con “distrarci”.

A un certo punto, diventiamo a tutti gli effetti le pedine ideali della tecnica della rana bollita. Il sistema deve solo impiegare le armi di ipnotizzazione di massa rappresentate dai “distrattori” universali di cui sopra e il gioco è fatto. Ciò vale per ogni ambito della nostra esistenza e vale, a maggior ragione, per la politica.

Pensate, ad esempio, al dibattito pubblico degli ultimi venticinque anni. Di cosa si è parlato dal 1992 alla vigilia del biennio pandemico, soprattutto e per lo più? Di berlusconismo e antiberlusconismo, di destra e sinistra, di Prodi e Berlusconi, di conflitto di interessi, di solidarietà (ex comunisti e democristiani di sinistra), di federalismo (la Lega), di rivoluzione liberale (quelli del polo della libertà), di onestà (i 5 Stelle) e, poi, di olgettine, di bunga bunga, di immigrazione, di antifascismo e di sardine.

Ebbene, finché questo teatrino di questioni anche importanti, ma secondarie (quando non del tutto irrilevanti) andava in scena, che cosa succedeva in Italia e in Europa?

Ecco alcuni fatti fondamentali e alcune date significative:

29.01.1992: legge numero 35 con la quale si stabilì la privatizzazione degli enti pubblici economici e la dismissione delle partecipazioni statali da cui discenderà la sostanziale privatizzazione delle quote di Banca d’Italia detenute fino ad allora, per obbligo di legge, da istituti di credito pubblici;

07.02.1992: firma del Trattato di Maastricht e nascita della Ue;

07.02.1992: legge nr. 82 con cui Bankitalia venne esonerata dall’obbligo di concordare il tasso di sconto del denaro con il Ministero del Tesoro;

01.01.1999: esordio dell’euro sui Mercati finanziari;

01.01.2002: esordio dell’euro nelle nostre tasche, cioè nell’economia reale;

13.12.2007: firma del Trattato di Lisbona;

25.03.2011 ratifica, da parte del Consiglio europeo, delle modifiche all’art. 136 del Trattato di Lisbona che consentono l’istituzione del MES, il cosiddetto “Fondo salva Stati”;

01.04.2012: costituzionalizzazione del pareggio di bilancio che ha modificato gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione italiana con l’obiettivo di allineare il sistema di finanza pubblica ai principi della governance economica europea tradendo, inserendo in una Suprema Carta di ispirazione keynesiana un arnese, e un principio, tipico dell’ideologia neoliberista;

23.07.2012: legge di ratifica del Fiscal Compact (entrato in vigore il primo gennaio 2013) con il quale si stabilisce l’obbligo per lo Stato italiano da un lato di comunicare ex ante al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea i propri piani di emissione di debito pubblico e, dall’altro, di garantire correzioni automatiche con scadenze determinate quando tale Stato non è in grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi di bilancio “concordati”; con lo stesso trattato intergovernativo viene ratificato l’obbligo del deficit tendenziale allo 0,5 per cento del PIL e del rientro dal debito pubblico (laddove superiore al 60 per cento del PIL) a colpi di un ventesimo all’anno della parte eccedente;

24.12.2012: legge numero 234 con la quale sono introdotte la “legge europea” e la “legge di delegazione europea” che, a loro volta, recepiscono, entro e non oltre il 28 febbraio di ogni anno, le direttive dell’Unione europea ovvero si uniformano ai suoi indirizzi.

04.12.2012: legge numero 243 “rinforzata”, modificabile solo a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, di attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio.

Giugno 2019: proposta di modifica del MES in forza del  quale uno Stato può accedere alle linee di credito solo se rispetta i seguenti pre-requisiti: 1) non sottoposto a procedura di infrazione; 2) deficit sotto al 3% da due anni; 3) rapporto debito PIL sotto il 60%. In caso contrario: rischio concreto di ristrutturazione del debito pubblico.

13.07.2021: approvazione del c.d. PNRR: una sorta di pseudo piano Marshall con il quale gli stati aderenti vengono apparentemente “inondati” di aiuti economici, ma nei fatti indebitati per i lustri a venire con centinaia di condizionalità rigorosissime sotto il controllo occhiuto e onnipervasivo delle istituzioni oro-stellate e con l’obbligo di investire i denari ricevuti in progetti e programmi pre-definiti dall’alto.

Queste sono le tappe salienti del processo di consolidamento dell’Unione europea e di adesione dell’Italia alla Ue, all’eurozona e ai meccanismi di “vincolo esterno”: controllo preventivo delle nostre leggi finanziarie da parte di autorità “indipendenti” e non elette come la Commissione europea; monopolio esclusivo della politica monetaria da parte della BCE.

Come direbbe l’immortale saggezza strategica cinese, qualcuno ha “cavalcato il mare” (la “privatizzazione” di una essenziale funzione pubblica come il governo e la gestione della moneta e del credito e la devoluzione di importantissime quote di sovranità legislativa e monetaria alla erigenda Unione europea) “all’insaputa del cielo” (cioè il popolo italiano).

Nulla esprime meglio questo concetto di una intervista con cui Beniamino Andreatta raccontò, a «Il Sole 24 Ore», nel 1991, il cosiddetto “divorzio” avvenuto dieci anni prima tra la Banca d’Italia e il Ministero del Tesoro. Si tratta di una questione assai connessa con quanto accadde dopo a livello europeo. Qui ci interessa il modus operandi dei protagonisti di quella vicenda e la strategia impiegata per conseguire il loro obiettivo (e cioè, appunto, il “divorzio” tra Bankitalia e Ministero del Tesoro in virtù del quale la Banca nazionale fu esentata dall’obbligo di acquistare i titoli di stato italiani invenduti alle aste, con conseguente spirale di aumento vertiginoso dei tassi di interesse e del debito pubblico).

Ecco cosa si legge nella intervista di Andreatta: «Il divorzio non ebbe il consenso politico, né lo avrebbe avuto negli anni seguenti, né da parte di colleghi di governo ossessionati dall’ideologia della crescita, né da parte del partito socialista che si era astenuto quando il parlamento votò nel 1978 sull’adesione all’accordo di cambio; […] nato come “congiura aperta”tra il ministro e il governatore divenne, prima che la coalizione degli interessi avversari contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso – soprattutto sul mercato dei cambi – abolire per tornare alle più confortevoli abitudini del passato».

Avete capito bene? “Uno di quei fatti della vita con cui bisogna fare i conti”. Frutto di una congiura “aperta”.

Allo stesso modo, i famosi trattati istitutivi dell’Unione europea, e delle sue micidiali e ferree regole, sono stati ratificati da tutti i commedianti, di destra e di sinistra, che frequentavano e animavano il teatrino della politica con il solo intento di farci appassionare, infuriare, emozionare per distrarci.

Mentre eravamo tutti incantati a guardare altrove, qualcuno ce l’ha combinata (grossa) alle nostre spalle. I trattati sono entrati in vigore e sono diventati uno di quei “fatti della vita” con i quali ogni giorno ci troviamo a fare i conti. Il dibattito ha riguardato qualsiasi cosa tranne il fatto che si stesse determinando una cessione effettiva, e brutale, di prerogative sovrane: non prerogative “populiste”, badate bene; prerogative costituzionali e, in quanto tali, intangibili e incedibili.

Per questo gli italiani non se ne sono avveduti fino a cose fatte: perché un dibattito significativo non c’è mai stato. Dall’alto sono piovuti ordini di scuderia ben precisi che hanno allineato, in un corale abbraccio bipartisan, quasi tutte le forze politiche.

Ne volete la prova?

Il Trattato di Maastricht venne approvato con 403 voti favorevoli, 46 contrari e 18 astenuti, dalla Camera, e con 176 favorevoli, 16 contrari e 1 astenuto dal Senato.

Il Trattato di Lisbona è stato approvato all’unanimità dalla Camera e dal Senato.

Il Fiscal Compact è stato approvato con 368 sì, 65 astenuti e 65 no dalla Camera e con 216 sì, 21 astenuti e 24 no dal Senato.

La legge di “costituzionalizzazione” del pareggio di bilancio è stata approvata con 489 sì, 3 no e 19 astenuti dalla camera e con 235 sì e 11 no e 34 astenuti dal Senato.

La legge 243/12 di attuazione della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio è stata approvata con 442 sì, 3 no e 6 astenuti dalla camera e con 222 sì e 4 no dal Senato.

La “rana” repubblicana è stata bollita a sua insaputa. Con piena soddisfazione – anzi, con piena, consapevole e compiaciuta soddisfazione – dei famosi “Padri Fondatori” come ad esempio Jean Monnet (coautore della dichiarazione Schuman e primo presidente della CECA) il quale sintetizzò insuperabilmente il concetto quando disse: «Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso un superstato senza che le loro popolazioni si accorgano di quanto sta accadendo. Tale obiettivo potrà essere raggiunto attraverso passi successivi, ognuno dei quali è nascosto sotto una veste e una finalità meramente economica».

E non pensiate che questa strategia funzioni solo con persone dalla scarsa scolarizzazione o dal basso quoziente intellettivo o connotate da un disinteresse congenito per la politica. Al contrario, funziona con tutti. Esemplare, in questo senso, la risposta sconfortata che il grande costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, in occasione di un dibattito pubblico alla Versiliana nel 2016, diede al ministro della Giustizia Andrea Orlando. Quest’ultimo, nel rammaricarsi per aver avallato il Fiscal Compact, accusava gli intellettuali italiani di non aver segnalato quanto stava accadendo né stimolato un dibattito in proposito. La risposta di Zagrebelsky efu tranchant: «Non ce ne siamo accorti».

Ecco, in questa ammissione c’è tutta la sottile, ma letale potenzialità della strategia di cui ci stiamo occupando. Allo stesso modo non se ne sono accorti moltissimi cittadini italiani e, probabilmente, anche una buona parte dei parlamentari che, in buona fede, approvarono i trattati di cui sopra.

Pensate a quante energie nervose abbiamo speso (perlomeno chi si è interessato della cosa pubblica) nell’ultimo ventennio per denigrare L’Ulivo e i post comunisti oppure Silvio e le sue truppe cammellate. E, a ogni elezione, uno vinceva e l’altro perdeva; e chi vinceva si limitava all’ordinaria amministrazione e chi perdeva faceva “la traversata nel deserto” oppure i “girotondi”.

Ora, promemoria per il futuro: state in guardia ogniqualvolta partiti, movimenti politici, sedicenti leader vi vogliono arruolare in qualche scontro polemico di secondo piano, o addirittura creato ad arte: dallo ius soli alla agenda lgbtq, dall’antifascismo alla lotta al razzismo, dal reddito di cittadinanza alla flat tax, dall’onestà alla guerra contro la casta, dalla lotta all’odio alle piazze piene delle Sardine, dalla rivoluzione green all’intelligenza artificiale. Tenete sempre d’occhio il traguardo conclusivo cui quasi tutti mirano coscientemente o sono “costretti” a tendere per inconfessabili ragioni: gli Stati Uniti d’Europa.

Poi, chiedetevi se la battaglia che vi propongono è quella giusta e prioritaria, cioè la più importante del momento storico in cui state vivendo. Oppure se si tratta di faccende insignificanti rispetto alla vera posta in gioco (e cioè la libertà, l’indipendenza, l’autonomia, in definitiva la sovranità, della Repubblica italiana).

Faccende, insomma, con le quali vogliono semplicemente tenere la vostra attenzione al guinzaglio di interessi e obbiettivi prioritari, ma poco o nulla pubblicizzati. Anzi, poco o nulla pubblicizzati proprio perché prioritari.

L’antidoto per non farsi “giocare” da questa tecnica come un ranocchio rimbambito è uno solo: conoscerla così da saperla smascherare in tempo. E – in second’ordine – studiare, studiare, studiare. Ergo, leggere, approfondire, capire per saper distinguere le questioni che contano davvero, e da cui vogliono tenerci distanti, da quelle che non contano nulla, e a cui vogliono farci appiccicare come moscerini alla carta moschicida. O in cui vogliono farci bollire come rane nella pentola.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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