Dopo le visite a Siena, Torino, Milano (a colloquio con il numero uno di Luxottica Leonardo Del Vecchio), Mark Zuckerberg, uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo, ha incontrato oggi il premier Mario Draghi per presentare le “opportunità che offrirà il metaverso“, il suo faraonico progetto: un mondo immersivo e (principalmente) in realtà virtuale in cui trasferire una parte crescente delle nostre attività quotidiane.
Dopo l’incontro avvenuto a Palazzo Chigi, durato circa un’ora, tra Mark Zuckerberg, il premier Mario Draghi e il ministro alla transizione digitale Vittorio Colao, un portavoce di Meta ha dichiarato alla stampa: “Per dare vita al metaverso sarà necessario uno sforzo congiunto tra aziende, mondo politico e società civile. Nell’incontro di oggi abbiamo confermato la nostra collaborazione con il Governo italiano per valorizzare i punti di forza del paese nei settori tecnologico e del design e identificare futuri investimenti. Siamo lieti, ha aggiunto la portavoce, di aver potuto discutere le opportunità culturali, sociali ed economiche che il metaverso porterà all’Italia e non vediamo l’ora di continuare questa collaborazione”. Perché solo in Italia viene da chiedersi? Che vuol dire investimenti? E che c’entra il governo?
Gli interrogativi sul metaverso: quanto costa?
Lo scorso ottobre, in cerca di future strade di crescita, Zuckerberg aveva annunciato l’adozione del nuovo nome corporate, Meta appunto, in sostituzione a Facebook, rimasto come marchio del suo principale social network. Un voluto segnale di transizione del business verso nuovi orizzonti più appetibili dato che i suoi principali social network (Facebook in primis) sono in caduta libera. Meta ha da poco pubblicato i risultati del primo trimestre, evidenziando la crescita più lenta dei ricavi da quando si è quotata a 27,91 miliardi di dollari. Il numero di utenti attivi quotidiani è arretrato di 30 milioni di persone a 1,96 miliardi, in linea con il primo calo registrato nel quarto trimestre del 2021. Se da un lato gli utili sono stati superiori alle attese, la compagnia non ha raggiunto gli obiettivi in diverse aree di business.
Inoltre le sempre più pesanti incognite sull’economia, per le tensioni geopolitiche e inflazionistiche aggravate dalla guerra in Ucraina, hanno costituito un ulteriore ostacolo negli ultimi mesi, alla spesa pubblicitaria anche online di imprese piccole e grandi e quindi alle attività del gruppo. Incalza anche la concorrenza nel settore dei social, di società più agili quali TikTok di ByteDance con i suoi video popolari tra i più giovani.
Il concetto e le sue prospettive del metaverso, almeno nel più breve periodo, hanno tuttavia finora meno che convinto analisti e investitori, che chiedono e attendono maggiori dettagli. Per questo forse Zuck chiede investimenti (in nome dell’innovazione) ai Paesi stranieri come l’Italia. Che poi, non dovremmo chiedere noi a Zuckerberg i soldi delle tasse non pagate in Italia?
Montaruli, Draghi ha chiesto a Zuckerberg di pagare più tasse?
Come ha affermato oggi la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli “Chissà se oggi durante l’incontro con Mark Zuckerberg a palazzo Chigi il presidente Mario Draghi ha posto la questione della necessità che i colossi di internet paghino in Italia tasse più congrue rispetto ai record di accessi e quindi guadagni e non le solite noccioline?”.
Big Tech, le filiali italiane generano 4,6 miliardi euro l’anno di ricavi. Ma pagano solo 80 milioni di tasse
Secondo l’ultimo studio redatto dall’area Studi Mediobanca, il fatturato aggregato delle filiali italiane delle Big tech nel 2020 ha raggiunto i 4,6 miliardi di euro occupando oltre 13mila lavoratori. Il dato, relativo al 2020, emerge dall’indagine annuale sulle maggiori Software & Web companies mondiali, che ha rilevato come rispetto al 2019 si calcolano quasi tremila dipendenti in più, in massima parte assunti dalle società del Gruppo Amazon che vanta il maggior numero di occupati in Italia (8.193 unità nel 2020).
E il fisco italiano? Nel 2020 le filiali dei giganti del web, spiega l’indagine, hanno versato al fisco italiano quasi 80 milioni di euro per un tax rate effettivo del 31,4%. Considerando anche l’accantonamento per il pagamento della Digital Service Tax, il tax rate salirebbe al 40%.
Per l’imposta minima globale per porre fine alle elusioni fiscali delle multinazionali, in primis dei GAFAM, che beneficiano anche di aliquote favorevoli in alcuni Paesi “amici”, come l’Irlanda la strada è ancora lunga. Lo scorso mese il no della Polonia, unico Paese che all’Ecofin ha detto no all’adozione della riforma, ha fatto saltare l’approvazione di una minimum tax per le multinazionali concordata in sede G20, G7 e Ocse.
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