Non sarà una città per gli egiziani: presto addio al Cairo capitale

  News, Rassegna Stampa
image_pdfimage_print

Sorgerà a 50 chilometri ad est del Cairo tra il Nilo e il canale di Suez, in posizione strategica. Una vastissima landa di deserto vedrà nascere e crescere la nuova capitale dell’Egitto, una città che oggi ha numeri da capogiro, con circa 20 milioni di abitanti che si stima diventino 40 milioni fra 30 anni. Il Cairo è una delle metropoli più densamente popolate al mondo, con una viabilità al collasso e un inquinamento atmosferico alle stelle. Quello della nuova capitale quindi è stato un progetto faraonico, si potrebbe dire, che però non ha ancora un nome: alla presentazione, è stata ribattezzata NAC, acronimo di New Administrative Capital, o anche detta – non si sa con quanta dose di sarcasmo e di ironia – Sisi city, dal nome del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi. E proprio il palazzo presidenziale, quello cioè che ospiterà quest’ultimo, sarà grande 8 volte la Casa Bianca.
La nuova città comprenderà un nuovo palazzo del Parlamento, una Banca Centrale, un aeroporto, un distretto finanziario all’avanguardia. Un fiore nel deserto che però viste le lungaggini che hanno fatto seguito all’annuncio, ai rendering e ai masterplan rischia di diventare una cattedrale nel deserto. L’obiettivo evidenziato è quello di dare vita alla più grande città artificiale del pianeta, pronta ad accogliere il grattacielo più alto del continente africano, il più grande minareto e la più grande chiesa cattolica, insieme con i parchi divertimento che dovrebbero far impallidire quelli americani ed europei della Disney. Tutto il mondo della nuova finanza che conta si è reso disponibile agli investimenti, sui quali svettano la Cina e gli Emirati Arabi Uniti.

L’idea invece è stata tutta autoctona: Al Sisi ha dimostrato di voler lasciare il segno non soltanto nelle coscienze, ma anche nella vita pratica di milioni e milioni di egiziani. Sembra una storia che si ripete, già vista con altre capitali come Brasilia che ha preso il posto di Rio de Janeiro e, sempre nel continente africano, Abuja, nuova capitale della Nigeria al posto di Lagos.

Una città moderna, insomma, strutturata per essere grande, non ingrandirsi senza controllo e programmazione nel corso della sua storia, che nell’immaginario collettivo vuole cancellare le lotte della primavera araba del 2011 e la caduta di Mubarak, al governo per 30 anni. Azzerare per trovare stabilità, solidità e un nuovo corso, appunto, in una nuova città. Una nuova città per un nuovo Egitto. E non è un caso se, in arabo dialettale egiziano, si usa la parola masr per indicare sia l’Egitto sia Il Cairo, segno della centralità che la capitale riveste nella vita degli egiziani.

Un modello in scala della nuova Cairo presentato agli investitori a Sharm El Sheikh, in Egitto, il 13 marzo 2015 (Amr Abdallah Dalsh, Reuters/Contrasto)

LA PRESENTAZIONE

Il progetto è stato presentato ormai un lustro fa. E i lavori si credeva dovessero essere ultimati entro il 2019. La presentazione avvenne durante la conferenza economica “Il futuro dell’Egitto”, che si tenne a Sharm El Sheikh a marzo del 2015. In quell’occasione, il presidente Al Sisi ebbe promesse di investimenti miliardari da parte di imprenditori stranieri, soprattutto dei paesi del Golfo, per un totale di circa 45 miliardi di dollari. La nuova città si svilupperà su un’area di 700 chilometri quadrati di deserto, dove sono state previste: strade su un’estensione di 140 chilometri quadrati; 40mila stanze d’albergo; una city finanziaria grande 12 volte Manhattan; 21 zone residenziali; 700 asili d’infanzia; 4 milioni di metri quadri di centri commerciali.
Un progetto oneroso, lussuoso e mastodontico che non si vedrà certamente domani mattina, e che – come ebbero già a dire gli oppositori presidenziali – riguarda un futuro dove non è contemplata la quotidianità degli egiziani, poiché sarà una città che non sarà ad uso e consumo dei suoi cittadini.
Dopo la conferenza di Sharm El Sheikh, Khaled Fahmy, professore di storia all’Università Americana del Cairo, aveva pubblicato su Cairobserver un articolo molto critico, dal titolo eloquente “A caccia di miraggi nel deserto”. «Immaginate di essere russi e di svegliarvi scoprendo che, visti i gravi problemi di traffico a Mosca, il Cremlino ha deciso, non di costruire un sistema di trasporti pubblici, ma una nuova capitale, in mezzo al nulla – si legge nell’articolo –. O di essere italiani e di apprendere da un giorno all’altro che il governo ha deciso di abbandonare Roma per costruire una capitale più vicina alla costa e alle rotte marittime. È esattamente quello che ha fatto il governo egiziano, senza consultare i cittadini».

Come detto, una cospicua parte dei finanziamenti proviene dagli Emirati Arabi. Si parla infatti di una zona della nuova città che sarà intitolata allo sceicco Mohammed Bin Zayed Al Nahyan, il principe ereditario e ministro della difesa di Abu Dhabi, il più popoloso e più ricco dei 7 emirati che costituiscono gli Emirati Arabi Uniti. Per gli Emirati, la “nuova Cairo” segnerà dunque la tanto attesa affermazione culturale e sancirà la loro posizione centrale nel mondo arabo.

Resta tuttavia un’urbanizzazione a passo di cammello, considerato che la maggioranza degli egiziani non può permettersi di avere un’automobile ed è esclusa da questo sviluppo economico-sociale, mentre permangono gli interrogativi su quale sarà il destino del Cairo, capitale per oltre mille anni. Svuotando la città dai centri istituzionali, amministrativi, economici, sociali, finanziari, e trasferendo nella nuova circa 5 milioni di abitanti, il sole del Cairo è destinato a tramontare per sempre e sempre più in fretta.

http://ilkim.it/non-sara-una-citta-per-gli-egiziani-presto-addio-al-cairo-capitale/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=non-sara-una-citta-per-gli-egiziani-presto-addio-al-cairo-capitale